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in pillole

FIL, il rapporto della felicità

di Francesca Gianfrancesco

felicità sorriso

Il FIL (GDH, felicità interna lorda, in inglese gross domestic happiness).

Ho da poco integrato al mio “vocabolario personale” la parola FIL. Sempre più spesso si mette in relazione la ricchezza e la felicità. Ma esiste davvero un rapporto tra ricchezza e felicità? Felicità ed economia , strano binomio se pensiamo che oggi giorno ogni notizia riguardante l’economia ci rende un po’ meno felici. Felicità, nel mondo greco dove nacque la parola che significa letteralmente “possedere” è eudaimonia composta da eu (buono) e daimon (demone), rimandando cosi all’idea che la felicità, arrivando dagli dei, non può essere determinata dagli uomini. Sarà ancora così?

Sono rimasta perplessa quando ho scoperto che qualcuno misura la nostra felicità. Non come sentimento effimero, ma come percezione di un equilibrio globale tra il benessere economico, la cultura, le relazioni con gli altri, il rispetto della natura. Il dibattito su come affiancare al Pil, (Prodotto Interno Lordo) indicatori più completi che diano una misurazione a tutto tondo del benessere delle persone è stato avviato da molto tempo, e ha avuto inizio in un piccolo Paese dell'Himalaya, il Buthan, che ormai da lungo tempo ha sostituito il Pil con un indicatore estremamente più complesso, il FIL (GDH, felicità interna lorda, in inglese gross domestic happiness).

Infatti i noti limiti del Pil, consistono nel fatto che si misura la ricchezza, ma sfuggono altre variabili fondamentali, tra le quali lo stato di salute dell'ambiente, lo stato di benessere globale della popolazione, variabile che include anche le relazioni tra persone.

Già nel 1965 un originale sociologo, Cantril ,compie a detta degli economisti, un eresia, quella di misurare la felicità delle persone. Cantril fece una ricerca su 15 paesi del mondo per misurare la felicità e la speranza delle persone. Si chiese se è vero che se una persona ha più risorse economiche, automaticamente sta meglio. Decise di domandarlo alle persone tramite un semplice questionario composto dalla seguente domanda:

“pensa alla situazione peggiore nella quale potresti trovarti, assegnale un punteggio di 0, ora pensa alla situazione migliore in assoluto, e assegnale 10 punti; ora valuta la situazione presente con un voto da 1 a 10.”

L’idea era quella che un 7 di un nigeriano fosse compatibile con un 7 di un americano o di un italiano, sulla base dell’ipotesi che quelle operazioni sono talmente primitive che non sono alterabili significativamente da elementi culturali. Questo perché l’esperienza del “peggiore” e del “migliore” è un esperienza prima, antropologica. Ogni essere umano è capace di indicare la situazione migliore o peggiore in cui può stare.

Cantril arriva alla conclusione che non vi è nessun rapporto significativo tra reddito e felicità. La felicità non dipende dal reddito ma moltissimo dalla speranza. In Italia ad esempio si sta peggio, perché non speriamo più. I miei genitori pensavano “adesso è dura ma Luigina starà meglio di me”.
Oggi noi non pensiamo più questo rispetto ai nostri figli.

Nella formula che calcola la felicità c’è sicuramente il reddito, c’è il confronto con gli altri, ma manca una componente fondamentale: i beni relazionali. I rapporti con gli altri sono fonte di felicità e la vita fiorisce quando siamo dentro a reti di rapporti genuini con gli altri.

Penso che quella di misurare la felicità sia solo una “scienza triste”.
Se davvero questi fossero modi esatti di misurare la felicità ,non siamo noi parte integrante e componente essenziale di questa formula? La nostra vita in corsia ad esempio, non può esimersi dal ragionevole e genuino rapporto con il paziente , siamo un unità di misura.
Se davvero esiste la felicità relazionale allora siamo tra incudine e martello… dobbiamo trovare un motivo al di fuori per essere felici e costituire allo stesso tempo la felicità delle persone che curiamo attraverso il rapporto che si insatura quotidianamente.

E allora, se il benessere ( bene-stare) passasse davvero attraverso i beni relazionali, potremmo essere considerati tra le categorie più ricche!
È un modo diverso o “alternativo” di vedere le cose… pian piano ci stanno togliendo tutto, libertà di decidere, soldi, possibilità di reagire, speranza in un futuro equo, serenità di affrontare la giornata, l’ottimismo che qualcosa di positivo possa accadere… ci inducono pian piano ad una visione grigia lasciandoci solo la rabbia , un forte senso di insoddisfazione e, infelicità.

Pensandoci bene, cosa ci resterebbe senza la “relazione” con questo o quel paziente, piuttosto che con il collega o il medico … nonostante tutto, alla fine della giornata, c’è un momento preciso in cui la nostra testa elabora davvero tutta una serie di formule e di equazioni dove le variabili principali sono davvero i beni relazionali e non un valore di mercato o di reddito, mentre siamo negli spogliatoi o mentre camminiamo per i corridoi verso l’uscita, verso quella realtà grigia che ci viene imposta.

« …sono convinto che il fine della nostra vita è quello di superare la sofferenza e di raggiungere la felicità. Per felicità però non intendo solamente il piacere effimero che deriva esclusivamente dai piaceri materiali. Penso ad una felicità duratura che si raggiunge da una completa trasformazione della mente e che può essere ottenuta coltivando la compassione, la pazienza e la saggezza. Allo stesso tempo, a livello nazionale e mondiale abbiamo bisogno di un sistema economico che ci aiuti a perseguire la vera felicità. Il fine dello sviluppo economico dovrebbe essere quello di facilitare e di non ostacolare il raggiungimento della felicità». Il Dalai Lama

E tu? Quanto sei felice?

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