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UK. Gli infermieri laureati si allontanano dalle funzioni assistenziali

di Simona Fiorese

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Gli infermieri europei da sempre considerano l’Inghilterra come la “patria” del nursing moderno. In questa nazione però, non è ancora stata fatta la scelta di portare la formazione infermieristica nelle università e le motivazioni che sottendono a questa scelta sono le stesse in tutto il mondo, ossia: che gli infermieri laureati si allontanano dalle funzioni assistenziali; che l’unico scopo della laurea è elevare lo status degli infermieri; che la laurea “anche agli infermieri” altera gli equilibri di potere che hanno finora garantito il buon funzionamento delle équipe assistenziali.[1][4]

Vi sono alcuni studi, altresì, che evidenziano come gli infermieri, con un livello di formazione avanzato, migliorano gli esiti sui pazienti e, anche se non è stato pienamente dimostrato il legame tra livello di formazione e qualità dell’assistenza, sono ampiamente documentate associazioni (con un legame causa effetto ancora da chiarire) tra una serie di esiti sul paziente, compresa la mortalità, e la formazione degli infermieri[2]


Nella revisione sistematica e meta analisi di Kane RL (2007) si esamina l’associazione tra il registered nurse (RN), lo staffing e gli esiti sui pazienti negli ospedali per acuti. La conclusione dello studio viene riportata in lingua originale in quanto la traduzione in italiano non rende appieno l’idea “Studies with different design show associations between increased RN staffing and lower odds of hospital related mortality and adverse patient events. Patient and hospital characteristics, including hospitals' commitment to quality of medical care, likely contribute to the actual causal pathway”.[3]

Guardando agli USA, il titolo di infermiere si può ottenere attraverso tre diversi canali: [5]

  1. Associate degree program (AD). Dura dai 2 ai 3 anni si svolge presso istituzioni formative pubbliche o private che rilasciano certificati o diplomi (60% dei neodiplomati).
  2. Corso di bachelor. Dura 4 anni e si svolge in università (36% dei neodiplomati).
  3. Formazione ospedaliera. Erogata dagli ospedali e dura circa 3 anni (4% dei neodiplomati).


In questo Paese ci si propone di aumentare la proporzione d’infermieri laureati dall’attuale 50% all’80% per addivenire in tempi brevi ad un numero maggiore di infermieri con formazione avanzata.

Lo IOM (Istituto di Medicina) raccomanda che siano chiusi i programmi gestiti dagli ospedali e caldeggia di far acquisire con corsi o esperienze aggiuntive la laurea a tutti gli infermieri con uno sforzo economico simile a quello del 1964 quando è stata attivata la formazione universitaria e sono state gettate le basi per i programmi di APRN (Advanced Practice Registered Nurse).[6]

Secondo Aiken LH (2011), la formazione infermieristica post-base è fondamentale per assicurare al servizio sanitario americano un numero adeguato di professionisti in grado di far funzionare modelli assistenziali centrati sulle persone, attraverso l’assunzione di ruoli di responsabilità, soprattutto nell’ambito delle cure primarie, della prevenzione, del coordinamento e della docenza (APRN che è successiva alla laurea).[6a]

Negli USA ci sono 3 milioni di Infermieri (in Italia 394.110):[6b]

  1. Su 1000 infermieri laureati 200 conseguono almeno 1 master.
  2. Su 1000 infermieri non laureati solo 58.


Avendo osservato che la propensione a proseguire gli studi di secondo livello (master) e di terzo livello (dottorato) è sensibilmente più elevata nei professionisti laureati rispetto a quelli non laureati, Aiken suggerisce di ricondurre tutti gli attuali programmi di formazione infermieristica esistenti negli Stati Uniti in un canale universitario triennale unico per tutti e di sostenere il tirocinio clinico nei percorsi post-base con il fondo Medicare per la formazione infermieristica (160 milioni di dollari all’anno), attualmente utilizzato per i corsi di diploma non universitari.[6c][7]

Formare infermieri con più competenze non significa, per gli stessi, possibilità di agire le competenze acquisite.

Ad affermarlo sul NEJM è Fairman, dottore di ricerca in scienze infermieristiche, che, accanto alla carenza di APRN, denuncia la presenza di disposizioni restrittive nei diversi Stati americani, che in nome di presunti pericoli per la qualità o la sicurezza degli utenti, ostacolano agli infermieri il pieno esercizio delle loro conoscenze e competenze.[8][4a][5a]

L’autrice richiama alcuni studi condotti per verificare appropriatezza, sicurezza e risultati del lavoro degli infermieri che dimostrano che interventi di prevenzione, diagnosi e gestione di molte comuni malattie acute non complicate, la gestione del dolore cronico o di malattie come il diabete, se affidati agli infermieri sono altrettanto sicuri ed efficaci quanto quelli erogati dai medici.[8a] [4b] [5b]

Gli studi citati da Fairman sono stati oggetto di una revisione della Cochrane nella quale sono stati analizzati 4.253 articoli dei quali 25, relativi a 16 studi, rispettavano i criteri di inclusione (confronto medico-infermiere nell’erogazione di un analogo servizio di assistenza sanitaria primaria, esclusi i servizi di emergenza). In sette studi all'infermiere era affidato il primo contatto e la presa in carico: i risultati dimostrano che non sono state trovate differenze apprezzabili tra medici e infermieri sui risultati di salute dei pazienti, il processo di cura, l'utilizzo delle risorse e i costi.[9][4c][5c]

In cinque studi l'infermiere era responsabile del primo contatto per i pazienti che necessitavano di una valutazione urgente del loro problema di salute. Gli outcome sono simili per infermieri e medici, ma la soddisfazione del paziente è maggiore se il primo contatto è fornito dall’infermiere. L’infermiere, infatti, dedicava più tempo e forniva maggiori informazioni ai pazienti.[9a][4d][5d]

In quattro studi l'infermiere si faceva carico delle cure continuative a pazienti con patologie croniche. In generale, non sono state trovate differenze apprezzabili tra medici e infermieri sugli outcome, il processo di cura, l'utilizzo delle risorse o i costi.[9b][4e][5e]

Gli autori concludono la revisione affermando che i risultati suggeriscono che gli infermieri adeguatamente formati sono in grado di produrre cure di alta qualità quanto il medico di assistenza primaria e di ottenere risultati di buona salute per i pazienti, sebbene questa conclusione debba essere considerata con cautela, poiché solo uno studio è stato dimensionato per valutare l'equivalenza delle cure; molti studi, infatti, avevano limitazioni metodologiche, e il follow-up è stato generalmente a 12 mesi o meno.[9c]

L’inserimento degli “infermieri pratica avanzata” (APN) nelle Nursing Home (NH) è stata una meta straordinariamente positiva. Gli APN hanno migliorato la qualità delle cure e, ancora più importante, hanno notevolmente aumentato il livello di comunicazione/collaborazione con i medici. Rimane la necessità di affinare i modelli di pratica APN che esistono attualmente. Vi è la necessità di sviluppare la ricerca dimostrare l’impatto sugli outcome.[10]

In particolare l’APN si è dimostrato utile in team con il medico nell’assistenza ai pazienti più fragili e complessi.[11]

Nelle due lettere, firmate dalle maggiori associazioni di medici, si richiama l’importanza e la necessità degli infermieri, dei quali è riconosciuta la competenza nell’erogare interventi di cure primarie, ma si sottolinea il rischio di un malinteso equivoco: ovvero che gli infermieri siano intercambiabili con i medici. Le due professioni sono complementari, ma non equivalenti. In entrambe le lettere si suggerisce l’adozione del lavoro in team: come sostiene l'American Medical Association che afferma che in presenza di una carenza di medici e infermieri e altri milioni di americani assicurati (per gli effetti della riforma sanitaria), gli operatori sanitari dovranno continuare a lavorare insieme per soddisfare l'aumento della domanda di cure sanitarie. Una squadra diretta da un medico, nella quale ciascuno gioca il ruolo per il quale è stato educato e addestrato, ha una comprovata possibilità di successo e contribuisce a garantire ai pazienti cure di qualità.[4f]

Sono già trascorsi dodici anni da quando sono stati resi disponibili anche per la formazione infermieristica italiana i tre cicli formativi tradizionali (laurea di base; laurea specialistica/master di primo livello; dottorato di ricerca/master di secondo livello) previsti dall’ordinamento universitario nazionale con il DM 509/1999.

Sono inoltre trascorsi cinque anni dall’approvazione della legge 43/2006, che sancisce la possibilità di attribuire le funzioni di coordinamento e quelle specialistiche agli infermieri in possesso di uno specifico diploma di master.

Ciò nonostante, il Servizo Sanitario stenta a introdurre queste figure nei propri ruoli, in particolare gli infermieri specialisti in possesso di un master clinico, il cui contributo, come dimostrato dalla ricerca internazionale e ribadito dalla stessa Aiken, è determinante per il miglioramento degli esiti dei pazienti assistiti.

Questo rappresenta il principale disincentivo alla formazione clinica post-base dell’infermiere italiano, che, a sua volta, potrebbe determinare un significativo impoverimento dei contenuti disciplinari nei prossimi anni, cedendo il passo a un progressivo e inesorabile decadimento professionale.

Come già accade per i medici, neppure per gli infermieri è oggi pensabile che la formazione di base possa soddisfare tutte le competenze richieste nei più disparati settori clinico-assistenziali. Probabilmente non abbiamo bisogno di infermieri anestesisti o di infermieri ecografisti, come avviene da sempre negli Stati Uniti, ma sicuramente, nell’interesse principale dei nostri assistiti, abbiamo bisogno di riconoscere professionalmente ed economicamente i vari livelli di competenza clinica, anche molto elevata, che l’infermieristica italiana è in grado di esprimere.[7a]

Bibliografia

[1] Gough P, Masterson A. Mandatory graduate entry to nursing. BMJ. 2010 Jul 9;341.torna


[2] Rafferty AM, Clarke SP, Coles J, Ball J, James P, McKee M, Aiken LH. Outcomes of variation in hospital nurse staffing in English hospitals: cross-sectional analysis of survey data and discharge records. Int J Nurs Stud. 2007 Feb;44(2):175-82.torna

[3] Kane RL, Shamliyan TA, Mueller C, Duval S, Wilt TJ. The association of registered nurse staffing levels and patient outcomes: systematic review and meta-analysis. Med Care. 2007 Dec;45(12):1195-204.torna

[4] Zanetti E. Il dibattito internazionale sull’integrazione medico-infermieristica. L’Infermiere. 2011;1:7-8.torna a b c d e f

[5] Zanetti E. Verso un ampliamento del ruolo clinico degli infermieri. www.grg.it ultimo accesso 15/10/2013.torna a b c d e

[6] Aiken LH. Nurses for the future. N Engl J Med 2011; 364:196-198.torna a b c

[7] Lancia L. La formazione infermieristica post-base: una sfida per il futuro nell’interesse di tutti. L’Infermiere 2011;1:9.torna a

[8] Fairman JA, Rowe JW, Hassmiller S, Shalala DE. Broadening the scope of nursing practice. 2011 Jan 20;364(3):193-6.torna a

[9] Laurant M, Reeves D, Hermens R, Braspenning J, Grol R, Sibbald B. Substitution of doctors by urses in primary care. Cochrane Database Syst Rev. 2005;2:CD001271.torna a b c

[10] C Philpot, Debbie Tolson, and J E. Morley. Advanced Practice Nurses and Attending Physicians: A Collaboration to Improve Quality of Care in the Nursing Home.Journal of the American Medical Directors Association 12.3. 2011.torna

[11] Karyn Lieble, Paul Katz, David Brechtelsbauer. Collaboration and the Physician/Advanced Practice Nurse Team. Journal of the American Medical Directors Association. 2011;12(7):541-542.torna

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