Una riflessione scritta dopo un turno di notte in un Pronto soccorso del nord Italia esprime tutta la preoccupazione di un'infermiera per la situazione di noi sanitari . Aggressioni, minacce, carenza di personale: parlarne, per provare ad ottenere un futuro migliore .
Pronto soccorso, dove noi infermieri lavoriamo immersi nella paura
Aggressioni e minacce durante una notte in un pronto soccorso del nord Italia.
È notte. Iniziamo il turno con il classico paziente "sconosciuto" (etichettato dal sistema informatico come “AWW”): ubriaco che, pur essendo stato portato in Pronto soccorso con un’alterazione del sensorio (poco responsivo, assopito), inizia all’improvviso a volersi alzare dalla barella, nonostante il rischio di strapparsi l'accesso venoso ed il catetere vescicale.
Il medico di area rossa ci dà subito indicazione di farlo accomodare su una barella in area verde, in mezzo ad altri pazienti, con l’intento di farlo dormire; e così facciamo. Di lì a poco, lui ed un altro giovane senza fissa dimora, noto ai servizi psichiatrici, entrambi assopiti in barella, si tolgono le scarpe ed infestano l’intero Pronto soccorso con un maleodorante “aroma di piedi”. E fin qua tutto sembra rientrare nella norma: una consueta notte al Pronto soccorso .
Ad un certo punto il telefono squilla: la centrale operativa del 118, con un'unica chiamata, ci allerta dell'arrivo di due politraumi: un pedone investito da un’auto ed un ragazzo investito da un treno.
Il primo è un giovane ragazzo in preda agli effetti di alcol, cocaina e cannabinoidi. Il secondo sembra un bravo ragazzo, giovane, appena ventenne: una bravata tra due amici che hanno deciso di attraversare i binari del treno di notte, brilli: lui solo qualche graffio ed una costola rotta; l’amico, purtroppo, non è mai giunto in ospedale, l’attraversata gli è stata fatale.
Ma ancora, fin qua tutto nella norma, o quasi. La notte continua... Arriva un uomo portato dalle Forze dell’Ordine, ammanettato. Questi pretendono degli accertamenti psichiatrici: l’hanno fermato per un controllo documenti, mentre dormiva tranquillo su una panchina al parco; lui si è rifiutato di mostrarglieli.
Per fortuna, vista la marea di pazienti già in attesa, questo ragazzo non è stato registrato all’accettazione del Pronto soccorso grazie all’intervento del medico – sottolineo, un medico – col tentativo di far capire alle FFOO che quello che loro avevano attuato poteva reputarsi di fatto un sequestro di persona: se lui non vuole farsi visitare in ospedale, nessuno può obbligarlo a fare qualcosa contro la sua volontà.
Sempre la stessa notte arriva un altro paziente sotto arresto, scortato anche questa volta dalle Forze dell’Ordine, già agli arresti domiciliari. Ha sfondato una vetrina per provare a derubare un locale, ma nel farlo si è procurato una brutta ferita lacero-contusa ad un braccio.
Viene portato in PS in manette, gli vengono assicurate le prime cure del caso. Di per sé ne ha necessità. Mentre viene suturato nell’ambulatorio accanto all’area dove mi trovo, sento che inveisce pesantemente contro il medico e l'infermiere che cercano di aiutarlo – l’assurdità del mondo sanitario: aiuti e vieni pure diffamato ; è parte del nostro lavoro, d’altronde.
Una volta mandati in ricovero i due politraumi, finalmente mi fermo 5 minuti in cucina, per una pausa, per bere un po’ d’acqua. Passano due minuti, ancora devo prendere qualcosa da mangiare: sento un rumore fortissimo, come se fosse caduta una sedia, e subito dopo un altro rumore simile.
Mi spavento: conosco il paziente che sta dormendo nel corridoio lì vicino, è conosciuto al PS (ha anche dato fuoco alla psichiatria una volta, letteralmente) è sempre aggressivo. Io sono chiusa in cucina: ci divide solo una porta - penso – e non ho vie di fuga . Tentenno un po' prima di uscire, ma poi sento le voci dei miei colleghi che iniziano a parlare con lui, quindi decido di farmi coraggio.
È stato proprio lui, ha scaraventato una sedia contro una porta rompendo un bracciolo, ed ha spinto il macchinario per gli elettrocardiogrammi a terra. Ha detto ad una mia collega che passava di lì che era una “t…a” (cito letteralmente, per capire appieno le condizioni nelle quali siamo costretti a lavorare), perché passando per di là lo avrebbe svegliato.
Comincia così un'animata discussione, arriva anche la guardia giurata (di cui il nostro Pronto soccorso è dotato 24 ore su 24), che però non può intervenire più di tanto, neppure quando questo tenta di sputare addosso ad un’altra mia collega . Dopo un po' il paziente si calma da solo e torna momentaneamente a dormire.
Alle ore 5 del mattino arriva un ragazzo con una brutta ferita al volto, con la guancia slabbrata a causa di una bottigliata, è sporco dalla testa ai piedi di sangue. Fin da subito è infastidito perché ha il telefono scarico; anche lui è ubriaco. Inizia subito ad inveirci contro: siete tutte giovani e siete quasi tutte donne, non mi fido . Si rivolge poi alla mia collega con fare aggressivo dicendo: tu sei una tirocinante, vero? Poi pretende di fare nell'immediato una chiamata quando ovviamente ci sono altre priorità, come chiamare gli specialisti, richiedere la TAC e gli esami del sangue. Ma lui proprio non vuole aspettare .
Inizia ad alzarsi (con le flebo collegate all’accesso venoso) ed insulta questa volta il medico (gli si avvicina alla faccia): sei disumano, che c…o fai il medico, se fossimo fuori da qua non sai cosa ti farei, sei un fascista di m…a. Pretendo un altro medico .
A quel punto il medico gli risponde: Se non ti vado bene come medico, puoi anche firmare ed andartene . Lui fa per andarsene, ma poi si rende conto che in mutande, scalzo, con le flebo collegate e con quella ferita non può andare molto lontano, decidendo di tornare indietro. A quel punto il medico gli concede di effettuare la chiamata, tranquillizzandolo un po’. Comunque io, temendo per la mia incolumità, non mi fido a fargli i prelievi del sangue: chiedo ad un mio collega, un uomo, di aiutarci (l’area rossa è coperta nel turno soltanto da due infermieri, due ragazze, me ed una mia collega, ed un solo medico – che casualmente questa notte è un uomo).
Contestualmente il paziente di cui ho parlato prima si risveglia e comincia di nuovo ad urlare. Non so bene cosa stia succedendo dall'altra parte del Pronto soccorso, perché sono decisamente impegnata in area rossa. So solo, da colleghi del turno successivo, che poco dopo essere smontata dal turno notturno, alle ore 7:00, lo stesso paziente ha rotto anche il monitor di un ambulatorio, con presenti le Forze dell’Ordine.
Nel frattempo, un paziente con storia di tossicodipendenza, venuto per cardiopalmo dopo aver assunto cocaina, chiede di andare in bagno, nonostante gli venga ripetuto più volte che deve tenere la telemetria per monitorare costantemente la sua attività cardiaca. Glielo si concede e lui continua a fare su e giù. Ad un certo punto mi chiede come funziona il “rubinetto tre vie” dell'accesso venoso. “Chissà a cosa gli serve saperlo”, penso. Non glielo dico, avendo intuito la sua idea.
Su prescrizione medica, gli somministro del Diazepam, per farlo stare tranquillo. Soltanto in seguito vengo a scoprire che molto probabilmente è stato in bagno (nel bagno comune, dedicato a tutti i pazienti) a scambiarsi della droga sempre con lo stesso che poco prima aveva scaraventato e distrutto i presidi.
Il paziente della ferita al volto se ne va in TAC, penso "almeno per 10 minuti stiamo sereni": la mia frequenza cardiaca si abbassa, dopo tutta questa tensione. Il cuore di un “vecchietto”, forse per la paura, riprende il proprio ritmo sinusale da solo, senza l’ausilio di alcuna terapia (era comparsa una fibrillazione atriale per la quale aveva bisogno di un intervento terapeutico: non è servito, è bastata la paura provata per la situazione creatasi); mi avvicino per fare l'ECG – tengo a sottolineare che tra queste situazioni di violenza, ci sono anche i pazienti “ordinari”: anziani, deboli, malati.
Il Pronto soccorso non si può fermare per colpa di pochi
Intanto sento i miei colleghi ridere e scherzare su ciò che è appena accaduto, per sdrammatizzare. Ed io penso “come fate a riderci su? Io sono sconvolta, vorrei spaccare qualcosa, vorrei togliermi la divisa e dare le dimissioni immediatamente, è stata una notte dura, più dura anche del solito e io non ho più voglia di stare qua, voglio cambiare lavoro . Perché loro ridono ed io no? Sono sbagliata io? Dovrei riderci su anche io? Forse sono solo stanca. Mi servono delle ferie, forse. Forse sono in burnout o forse questo lavoro non fa per me. Non lo so. Mi interrogherò su questo più tardi. Per ora devo solo cercare di arrivare alle 7, al momento del cambio turno, illesa fisicamente soprattutto, ma anche psicologicamente”. I miei pensieri vengono interrotti perché entra in area rossa di nuovo il ragazzo che poco prima ha scaraventato per aria la sedia. La guardia giurata non c'è. La mia collega sussulta, era quella più vicino a lui: lavoriamo immersi nella paura .
Un giorno e mezzo dopo torni a lavoro e mentre sei in area rossa senti delle urla provenire dal triage: questa volta ce l'hanno con un altro tuo collega, ma il clima che si respira è sempre lo stesso. Intervengono le Forze dell’Ordine. Di nuovo.
Chissà quante cose vedi in Pronto Soccorso . Io non riuscirei mai a fare il tuo lavoro . Ah, ma tu sei tosta .
Sarò anche tosta, ma inizio ad essere stanca, stressata . Non volevo nemmeno scrivere queste parole perché quella mattina mi importava solo di timbrare l’uscita ed andare a casa: "tanto è solo un'altra notte di m…a, passerà; e poi a dire il vero non sono nemmeno tutte così brutte”.
Però non è nemmeno giusto arrivare a sentirsi umiliati, minacciati, in pericolo, impauriti, stremati, infreddoliti, mancati di rispetto, svuotati a fine turno e continuare a stare zitti
Poi mi dico: "ma sì, ma tanto chi vuoi che legga queste parole, quante persone come me, quanti infermieri che minacciano di andarsene e poi non lo fanno". È qui la questione vera, il succo del discorso.
Reputo questo uno dei lavori più belli, ti dà la possibilità concreta di sentirti utile per qualcuno. Ho sempre pensato di voler fare un lavoro che possa farmi sentire viva, provare emozioni, farmi crescere, elevarmi e darmi (e non togliermi). E tutto si riduce a questo? Tutto si riduce alla fine a pensare "non sono pagata abbastanza per tutto questo", ad avere paura di diventare una cattiva persona piuttosto che una bella persona come mi ero figurata all'inizio.
Vengono pubblicati articoli a riguardo tutti i giorni .
”Ennesima aggressione ai danni di due colleghi del Pronto soccorso di Latina, aggrediti con l’asta della flebo”.
“Modena, aggressione in PS: 4 feriti e tanta paura”.
“Pisa, aggredisce medico e infermiere: fermato e trasferito in psichiatria”.
“Aggressione al PS di Ravenna: infermiere minacciato di morte”.
“Carcere di Terni: pugno in faccia all’infermiere mentre somministra la terapia”.
“Imperia: paziente lascia la stanza di degenza e aggredisce fisicamente gli infermieri”.
“Sondrio: aggressione a due infermieri e PS distrutto dalla furia di un paziente”.
“Aggredita da paziente psichiatrico: infermiera muore a causa delle ferite”.
“Violenza contro un infermiere, il Direttore ULSS4 con dichiarazione shock: vanno compresi gli aggressori”.
“Paziente minaccia l’infermiere del PS: ti do fuoco!”.
“Minaccia i medici e aggredisce infermiere: troppa attesa al Pronto soccorso”.
“Infermiere e dottoressa minacciate con una pistola: vi devo uccidere”.
“Medico e infermiere dell’elisoccorso aggrediti dopo intervento”.
“Ruba forbici all’infermiera e la minaccia: attimi di paura a Genova”.
“Infermiera aggredita e presa a morsi presso l’Ospedale di Casalmaggiore”.
“Infermiere SPDC aggredito e picchiato da due pazienti”.
Questi sono solo alcuni dei fatti accaduti negli ultimi due mesi, e quanti non ne vengono raccontati di episodi simili sui giornali. Ma oramai ce ne sono talmente tanti che non fanno più scalpore, non sta cambiando nulla, anzi ho la sensazione che stia peggiorando la situazione e che questi gesti siano sempre più frequenti.
Hanno concesso al personale del Pronto soccorso il “contentino” di 80€ in più in busta paga e, a parte i primi mesi, attualmente continuo a vedere sempre gli stessi soldi, è cambiato lo stipendio base di qualche decina di euro, ma poi ci sono sempre le tasse: ti danno e tolgono con pari equilibrio.
Che poi a cosa vuoi che servano i soldi, quando la cosa davvero importante sarebbe avere più rispetto, più riconoscimento e soprattutto potersi sentire sicuri sul luogo di lavoro?
L'ipotetica soluzione, almeno per quanto riguarda i Pronto soccorso? Che le Forze dell’Ordine stazionino 24 ore su 24 in loco. Questo è già stato proposto come si legge su un articolo de La Stampa del 10 maggio 2023: ”Per il contrasto degli episodi di violenza contro il personale sanitario si potranno creare dei posti fissi di Polizia presso le strutture ospedaliere. Lo prevede un emendamento riformulato al DL Bollette approvato in commissione alla Camera”.
Presso le strutture ospedaliere pubbliche e convenzionate con un servizio di emergenza-urgenza , in considerazione del bacino di utenza e del livello di rischio della struttura , possono essere costituiti posti fissi della Polizia di Stato per la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica , prevenzione e repressione dei reati, e per assicurare l'incolumità dei sanitari.
Ma la cosa più importante è che le Forze dell’Ordine siano soprattutto preparate a gestire i pazienti violenti ed eventualmente che siano autorizzate ad allontanarli dai locali del Pronto soccorso. Così come non è sicuro per noi, non lo è nemmeno per gli altri utenti, che necessitano delle cure.
Penso di poter parlare per tutti i miei colleghi (medici, infermieri, OSS) quando dico che affrontiamo già moltissime difficoltà nel nostro lavoro: vorremmo almeno poter lavorare in sicurezza ed essere rispettati.
E sia chiaro: la mancanza di rispetto nei nostri confronti non viene alimentata solo con la violenza, ma anche da coloro che, “in giacca e cravatta”, potrebbero sembrare persone ben educate. Non è una lettera di un infermiere che in questo caso chiede meritocrazia, maggior riconoscimento professionale od economico. Non si parla nemmeno di turnover, demansionamento o di fuga di cervelli all’estero; così come non esprimerò la mia opinione in merito a tante, troppe cose che sono state dette ultimamente a causa della carenza di personale e delle vane (e permettetemi, assurde) proposte che sono state avanzate nel tentativo di risolvere il problema (come quella di rendere più brevi i percorsi di formazione universitaria infermieristica) e di tutti i risvolti che queste potrebbero comportare, inficiando così i bisogni dei pazienti e demolendo definitivamente qualsiasi speranza di formazione, ambizione e crescita personale di tutti quegli infermieri che in questo lavoro ci avevano investito davvero, e ci continuano a credere.
Non voglio nemmeno parlare di lavoro usurante o di disagio lavorativo come diagnosi e stress lavoro-correlato (di cui si parla nella legge 81 del 2008).
Chiedo semplicemente sicurezza sul luogo di lavoro, perché di fronte alla mancanza di questa, tutto il resto, scusatemi, viene meno, passa in secondo piano.
Martina D.S. - Infermiera
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