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I pianti dei bambini non sono tutti uguali

di Redazione

Ludovica Russo è un’infermiera di 28 anni. Durante il master in Infermieristica Pediatrica, riesce a frequentare un tirocinio in terapia intensiva neonatale al Meyer. Qui scopre un mondo. Vede crescere giorno per giorno i neonati del reparto, ma soprattutto a crescere è lei, come infermiera e come donna.

Tra i neonatini della Tin del Meyer

Lo sistemo, gli creo un avvolgente “wrapping” nel suo nido e poi un ultimo saluto rivolto a quel piccolo di poco più di due chili. Un sospiro, una lacrima trattenuta e via per sempre da quel mondo così insolito, così inatteso. Ѐ finito così il mio periodo da infermiera tirocinante in terapia intensiva neonatale all’Aou Meyer di Firenze.

Un mondo dove ho imparato a prendermi cura di piccole creature, dove ho cercato di far crescere nel modo migliore dei bambini così piccoli, dove ogni mattina li si pesava e anche quei 10 grammi in più erano una soddisfazione, per noi infermieri e per le famiglie che tanto attendono il momento della “pesatura”.

Anche se, in fondo, ancora mi chiedo se non siano stati, invece, loro, questi “neonatini” (così si è soliti chiamare tra di noi infermieri i bambini prematuri), ad aiutare me a crescere in questi mesi. Mi presento. Mi chiamo Ludovica, ho 28 anni e sono infermiera da 3. Le mie grandi passioni sono da sempre l’emergenza e l’area critica, specialmente nell’ambito pediatrico. Dopo vari corsi sono riuscita a fare parte del team della Tin del Meyer per un periodo di 200 ore, periodo che il master che sto frequentando in Infermieristica Pediatrica mi ha concesso di svolgere.

Quando finalmente mi hanno comunicato che avrei iniziato il tirocinio in Tin non ci potevo credere: prendermi cura dei neonati era un sogno che avevo da diversi anni e vederlo realizzarsi è stato incredibile. Il primo giorno risentivo dentro di me le stesse emozioni che mi avevano già assalita da tirocinante durante la triennale di Infermieristica, un cocktail di sentimenti misti, tra voglia di imparare, desiderio di aiutare, paura di sbagliare ed entusiasmo per un sogno tanto atteso.

In questi due mesi ho conosciuto diverse realtà, diversi bambini neonati, ognuno con una sua storia da raccontare. Alcuni si raccontavano con dei pianti appena accennati, quasi come se impegnassero tutte le loro forze in quel momento; altri tramite sguardi così penetranti da rimanere impressi nella mente; altri, ancora, attraverso genitori pieni di voglia di presentarti il loro bambino; altri, purtroppo, erano addormentati con diversi tipi di sedazioni e potevano riportare le proprie condizioni solo tramite un monitor che rileva di continuo i loro parametri vitali. Quei monitor che spesso suonano e ti segnalano qualche anomalia, a volte reale e altre no, con allarmi così penetranti che ti sembra di risentirli anche quando ormai sei a casa, dopo un turno di 11 ore di notte, quando l’unica cosa che vorresti fare è abbandonarti nel tuo letto e spegnere tutto per qualche ora.

I pianti dei bambini non sono tutti uguali, ognuno è in grado di rivelare molto

Gli infermieri e i medici che mi hanno accompagnata in questo percorso mi hanno aiutata a capire, turno dopo turno, le diverse necessità di ogni bambino, mi hanno fatto fare pratica con le peculiarità che caratterizzano l’assistenza infermieristica della terapia intensiva neonatale, dal bagnetto al cambio pannolino, dalla nutrizione enterale tramite sondino nasogastrico ai calcoli dei dosaggi dei farmaci (eh sì, quelli che tanto ci mettono alla prova!), dalla vestizione al nido, al wrapping e al contatto: contatto diverso da quello con tutti gli altri tipi di pazienti, dove la relazione sembra quasi più semplice, e che qui, invece, richiede differenti tipi di approccio.

Alla fine di questa esperienza ho scoperto che i pianti non sono tutti uguali, ognuno è in grado di rivelare molto. Alcuni sono simili a dei miagolii: sono i pianti dei prematuri di circa 900 grammi, poi ci sono i pianti neurologici, ripetitivi e costanti, inconsolabili e ancora ci sono i pianti da astinenza, associati a tremori di gambe e braccia: quelli dei bambini che hanno avuto bisogno di sedazioni prolungate, altri sono pianti di dolore, di bambini che hanno riportato diverse fratture post parto agli arti inferiori o che hanno subìto interventi chirurgici, diverso ancora è il pianto di un bambino che, a causa di malformazioni interne, è portatore di tracheostomia e a stento riesce a richiedere attenzioni.

Tra gli altri, si distingue anche il pianto di un bambino che sta affrontando tutto questo da solo, di un bambino abbandonato da subito, perché, per un motivo o per un altro, i genitori hanno deciso di lasciarlo alle cure del reparto. Sono i lamenti di una creatura che come prima cosa ha dovuto conoscere la solitudine.

Potrà sembrare un reparto molto rumoroso, tra allarmi dei monitor e pianti dei bambini, ma la cosa che a me è rimasta più impressa è stato invece il silenzio, il silenzio di quel bambino che mi guardava con i suoi occhioni scuri, mentre mi stringeva il dito indice e sembrava volesse dirmi: Fammi andare a casa, nella mia culla azzurra piena di pupazzetti, dove i miei genitori e il mio fratellino mi stanno aspettando, dove ho la vita che mi aspetta.

Ludovica Russo, infermiera

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