Natale è un giorno come un altro. Tutto è uguale come ogni altro giorno, tutto è scandito dal tempo del curare e del prendersi cura. E la notte non è diversa dal giorno, può essere diversa soltanto perché appesantita dal sonno rubato e dai pensieri festosi lasciati a casa, come i bambini attorno all’albero. No, Natale non è un giorno come un altro. Neanche per noi che siamo abituati a tutto, che teniamo i giorni del calendario in tasca per organizzarci la vita fuori, che non facciamo distinzione tra festivi, feriali e feste comandate. Natale è tutti i giorni che vuoi (da un verso di poesia di Edoardo Gallo). Nurses’s Christmas.
Com’è il Natale negli ospedali
Il Natale ritorna ogni dodici mesi, allo stesso giorno 25, con precisione matematica, non è quindi una cosa molto rara. Tutti sanno come è fatto, tutti potrebbero descrivere in anticipo nei minuti particolari quello che accadrà nelle case rispettive. Eppure se ne resta sempre sbalorditi.
Scriveva Dino Buzzati.
Ma com’è il Natale negli ospedali? E cosa fanno gli infermieri a Natale? Semplicemente quello che fanno ogni giorno, forse meglio o di più.
Natale è un giorno come un altro, rifletto la Santa mattina incamminandomi assonnata e rabbuiata verso l’ospedale come ogni santo giorno dell’anno, a parte ferie, permessi e malattie. La stella cometa che sovrasta i sette piani del nosocomio, proprio sette come nel racconto di Dino Buzzati, è ancora accesa davanti ad un cielo di piombo carico di pioggia o neve.
Non so e non vedrò che tempo di Natale sarà, se non con un’occhiata furtiva dalla finestra e uscendo stasera dopo otto ore. Seguo la luminaria natalizia da lontano con lo sguardo, anche se non ho bisogno di orientarmi, i miei passi vanno da soli verso il reparto.
È una presenza rassicurante quell’astro sul tetto, anziché in cielo, a segnare il tempo di festa e di attesa. È ancora buio attorno e le luci delle stanze di degenza accendono a tratti la parete dell’edificio, a seconda delle tapparelle alzate a mezz’asta o di quelle ancora abbassate dietro le quali si contano gli ultimi minuti di sonno prima che entrino infermieri e carrelli.
L’oro si vede dal mattino, si dice, così che nell’ora in cui timbro il cartellino so che altrove l’attività assistenziale ha già ritmi incalzanti.
I prelievi ematochimici sono già stati spediti in laboratorio analisi, i letti rifatti con gli angoli perfetti, le cure igieniche completate, le colazioni servite e consumate, i pazienti alzati in poltrona. Si attende soltanto il giro medico. Per gli accertamenti del caso clinico, le consulenze diagnostiche, le dimissioni che riportano a casa.
Natale è tutti i giorni che vuoi esserci. Come infermiere. Come persona. Che si perde nelle stanchezze e nelle difficoltà del lavoro e della vita ma che poi si ritrova. Magari riscoprendo proprio a Natale il senso di quello che si fa ogni giorno. Che non è Natale.
Tutto è uguale come ogni altro giorno, tutto è scandito dal tempo del curare e del prendersi cura. E la notte non è diversa dal giorno, può essere diversa soltanto perché appesantita dal sonno rubato e dai pensieri festosi lasciati a casa, come i bambini attorno all’albero.
Lungo i corridoi incontro colleghi che smontano da una Notte Santa vissuta tutta sulle spalle e sulle gambe. Talvolta anche in ginocchio, tanta la stanchezza. Dodici ore di terapia, urgenze, morte, sorveglianza, silenzio, consegne. Dopo un veloce caffè al bar per restare ancora svegli il tempo di mettersi alla guida, tornano a casa e ci restano con il sonno addosso per tutto il giorno di festeggiamenti in famiglia e sul divano.
Sento che il Natale oggi in ospedale è un Tu scendi dalle stelle cantato nei vari piani, mentre l’ascensore sale e scende senza sosta portando la gente dove è attesa per le cure. Ed è un Natale che scalda il cuore quello che passa con la cioccolata calda su un carrello d’acciaio offerta dalle infermiere con le strenne rosse sulla divisa verde.
Vedo con simpatia che il Natale è un albero con foto di infermieri sorridenti appesi tra i rami e una stella come puntale che invita ad essere in vena di festeggiamenti.
Capisco che Natale è la donna senzatetto che viene a medicarsi a giorni alterni in chirurgia, portandosi dietro tutto il suo mondo disfatto in una valigia logora e in borse di plastica, che chiede in dono qualche benda e cerotto in più per fare da sé quando non riesce a raggiungerci, qualcosa di caldo da bere e di poter sedere qualche ora in sala d’attesa, lontano dal freddo almeno per oggi.
Mi commuovo per il Natale che è un cane che viene fatto entrare e salire sul letto, venuto in visita per le feste a chi forse non torna più a casa. Mi avvicino al Natale che è una mano che somministra una flebo per alleviare sofferenza o per accompagnare sedando ed aspettando insieme.
Assaporo che Natale è una fetta di pandoro sul piatto della mensa oppure è un cracker sgranocchiato al volo, perché si apre la sala operatoria delle urgenze di corsa per un trauma lungo la strada della festa.
Ascolto il Natale nelle sirene delle ambulanze che sfrecciano e ritornano, come jingle bells che suonano per la vita e per la morte. Apro la porta bianca al Natale che entra ed esce dall’ambulatorio, con l’augurio da parte mia che sia buono, ad ogni persona che chiamo per nome per farsi visitare dal medico di turno e che se ne va un pochino più serena dopo avermi stretto calorosamente la mano.
No, Natale non è un giorno come un altro. Neanche per noi che siamo abituati a tutto, che teniamo i giorni del calendario in tasca per organizzarci la vita fuori, che non facciamo distinzione tra festivi, feriali e feste comandate.
Tanto siamo sempre operativi e i giorni sono uguali ai giorni qui dentro, ci diciamo tra noi per tirare avanti. In realtà a Natale si fa a gara per chiedere di stare a casa e chi resta in servizio talvolta lo fa per scelta: c’è chi tra noi cerca affetti e chi evita solitudini. Anche noi abbiamo voglia di normalità.
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