Il periodo del tirocinio degli studenti di Infermieristica genera uno sforzo collettivo che produce benefici per tutti: per gli allievi che accumulano “sapere” e “saper fare” e per noi infermieri, che alleniamo testa e mani.
La cosa più difficile da trasmettere è il “saper essere” infermiere
Seguire gli studenti infermieri in tirocinio ci dà la spinta per aggiornarci continuamente e trasmettere un sapere a prova di evidenze scientifiche
Da poco abbiamo avuto, nel reparto dove presto servizio, allievi del primo anno di studi di Infermieristica a fare il primo stage da noi. È stata una novità perché, essendo un reparto specialistico, siamo abituati ad avere allievi del secondo e terzo anno.
E che novità! Abbiamo dovuto rispolverare tutte le nostre conoscenze su attività di base come: rifacimento letti, igiene del malato, terapia intramuscolare e sottocutanea , inserimento del catetere vescicale , ecc. Non che queste manovre non si facciano, anzi, ma le svolgiamo talmente di routine che spiegare i principi, le motivazioni, le ripercussioni del non farle con competenza ha risvegliato in noi la necessità di riflettere su azioni che facciamo senza pensare .
Eppure ciò che facciamo è scientifico, ma ripetere la stessa azione tante volte ci fa dimenticare il perché la realizziamo in quel preciso modo. Ebbene, questi ragazzi ci spingono a fare uno sforzo per ricordare le nostre conoscenze e non solo: ci danno la spinta anche per aggiornarci per poter trasmettere un sapere a prova di evidenze scientifiche , cosa di cui loro, provenendo dal mondo universitario, sono più informati di noi.
Questo crea, nel periodo dello stage, uno sforzo collettivo che produce benefici per tutti , per gli allievi che accumulano “sapere” e “saper fare” e per noi, che alleniamo testa e mani. Non ho mai avvertito la "gelosia" del lavoro, cioè la necessità di tenere per me quel piccolo segreto che mi permette di essere più precisa o più veloce, “migliore” dei colleghi per far sì che si possa dire: in questa azione o in questa pratica burocratica, o con questo presidio l’unica che sa fare è… , per questo motivo mi piace mettermi in gioco e “svelare” tutti i piccoli segreti, che si conquistano con la pratica, a questi ragazzi.
La cosa più difficile da trasmettere è il “saper essere” e cioè avere il giusto distacco emotivo che consente la lucidità di agire nei momenti di emergenza, soprattutto a ragazzi che si affacciano in un mondo dove c’è sofferenza e la cui motivazione spesso è quella di aiutare gli altri.
Allora devi insegnargli che spingere il paziente all’autonomia non significa non volerlo aiutare, ma dargli una dignità , o che occorre dosare il tempo in modo da dedicare ad ognuno l’aiuto di cui necessita senza trascurare nessuno, neanche chi, per pudore o per timidezza, non chiede niente.
Vorrei infine fare i complimenti a tutti i ragazzi che intraprendono questo percorso in un momento difficile come questo , perché evidentemente ciò che li ha spinti ad iniziare questa professione bella, ma anche con dei rischi, deve essere una motivazione forte che li renderà sicuramente professionisti competenti di cui l’infermieristica necessita per affrontare le difficili prove che la vita a volte riserva all’umanità, come questa pandemia.
Quindi bravi Luca, Beatrice e tutti i ragazzi che si trovano al primo anno di corso e che hanno fatto questa scelta . Sono solo all’inizio, ma lo spirito con cui hanno affrontato questo primo tirocinio è quello giusto per poter avere la coscienza del “saper divenire” dei professionisti consapevoli, in continua evoluzione, aperti al cambiamento e all’ascolto e con quel pizzico di umiltà che consentirà scelte improntate al bene comune.
Patrizia Marchetti - Infermiera
Commento (0)
Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?