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Infermieri uniti per il bene del paziente si può, si deve

di Mimma Sternativo

Quante volte vi è capitato di “ringhiare” ad un altro professionista, solo per affermare la vostra professionalità? Inconsciamente lo facciamo tutti, almeno una volta, a torto o a ragione. Ci diciamo quanto siamo bravi, quanto siamo belli, quanti problemi abbiamo, ma poi si resta lì, ognuno confinato nella propria realtà lavorativa e professionale. Ma quante volte, invece, proviamo ad abbattere i muri che ci separano e a costruire ponti?

Infermiere, cosa ti ha fatto scegliere di diventare quello che sei?

Infermieri e professionisti sanitari, solo lavorando insieme si può garantire il bene del paziente

Cosa porta una persona a scegliere di diventare un medico, un infermiere, un fisioterapista, un’ostetrica, un qualsiasi altro professionista del mondo della sanità?

Si tratta di vocazione? E cosa intendiamo, poi, per vocazione? Quella religiosa, che sentono anche i preti e le suore? È la fede in qualsiasi Dio che ci fa scegliere una di queste professioni così emotivamente impegnative?

O è vocazione intesa come "essere portati a fare quel lavoro"? È forse perché si ha un po’ quella sensazione di poter essere come i super eroi dei nostri vecchi cartoni animati stile anni ’80?

Lo si fa per lo stipendio? Per il famoso posto fisso? O perché semplicemente la vita, il destino, con strani giri ci ha messi proprio lì dove siamo?

Di solito propongo agli studenti infermieri o a quelli che hanno scelto di diventare oss di scrivere su un foglio qualsiasi il motivo per cui sono arrivati lì.

Perché hai scelto di essere un infermiere? Perché vuoi diventare un Oss? Cosa pensi di dare TU a questa professione?

In quelle righe vengono impresse le prime considerazioni, quelle scevre da ogni frustrazione, stanchezza, realtà, pregiudizi… molti di loro in realtà non sono mai stati a contatto con un paziente. È il loro sogno che pian piano diventerà realtà e che poco alla volta si sporcherà. Loro sono quelli che “Io non sarò mai così”. Magari!

Mi piace pensare che un giorno rileggeranno quel biglietto e sorrideranno all’idea di avercela fatta ad essere quello che volevano.

Spesso gli studenti e i neoassunti vengono visti con diffidenza, perché inesperti; invece andrebbero sfruttati per la loro capacità di “vedere il nostro mondo professionale con gli occhi di un bambino”.

Nelle organizzazioni, per quanto ci si affanni a migliorare i processi spesso non si riesce ad andare oltre, perché noi stessi siamo oramai inglobati in quel modus operandi e non ne vediamo più né pregi, né difetti. Chi ci guarda invece per la prima volta è libero da pregiudizi e spesso trova la soluzione prima di noi.

Cosa porta un medico, un infermiere, un fisioterapista, un’ostetrica, un oss a scegliere di essere tali? Il paziente, la sua salute, il suo benessere… Raramente la risposta è diversa.

Ognuno di noi vorrebbe curare quel paziente e vorrebbe ridargli serenità. Come se “curare loro” servisse un po' a “curare” anche noi.

Spesso parlo con altri professionisti e mi fa sorridere scoprire che abbiano i miei stessi obiettivi sul paziente – certo, ognuno li declina a modo suo.

Siamo tutti impegnati a sentirci migliori degli altri. Segniamo il territorio per non farci “rubare” l’erba del nostro giardino e sgomitiamo tra noi perdendo di vista il nostro obiettivo principe: il paziente.

Quante volte vi è capitato di “ringhiare” al fisioterapista che vi arrivava in reparto, allo specialista di turno, a qualsiasi altra persona che “pretende di avere diritti sul vostro paziente”? Quante volte noi infermieri ci siamo sentiti più importanti di altri?

Quante volte ci è capitato di partecipare a congressi di soli infermieri, soli medici, soli dirigenti? La storia è sempre la stessa: ci diciamo quanto siamo bravi, quanto siamo belli, quanti problemi abbiamo, ma poi si resta lì, ognuno confinato nella propria realtà lavorativa e professionale.

La prima volta che sono andata ad un congresso per infermieri dirigenti mi sono stupita di quanto anche loro fossero “frustrati” dalla situazione infermieristica che fa sempre tanta fatica a decollare.

Quante volte abbiamo pensato: Certo, loro stanno bene, che gliene frega se siamo uno in più o uno in meno…

Poi vai lì e scopri tutta un’altra realtà, che somiglia un po' anche alla tua. La verità è che ci affanniamo a migliorare noi stessi, ma poi ci scordiamo di guardare fuori, verso il nostro vicino e non vediamo che forse quel pezzo di quell’altro professionista ci servirebbe per raggiungere al meglio un determinato obiettivo comune.

Vale per i medici, che han paura a dar valore ad alcune specializzazioni infermieristiche, vale per gli infermieri, che vogliono dar di più, ma senza lasciar niente ad altri - rischiando poi di far tutto e niente - vale per i ginecologi con le ostetriche, per i fisioterapisti con gli infermieri…

E allora perché non fare un po' come i nostri studenti e rispolverare quel “perché” della nostra presenza qui e ora? Perché non incrementare il numero di congressi multiprofessionali dove potersi parlare, mostrando le proprie motivazioni, il proprio apporto come professionista sul paziente?

Per una volta liberiamoci delle nostre care poltrone, togliamo i recinti ai nostri giardini e prendiamoci davvero cura del nostro paziente.

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