In un contesto di riforme fiscali e critiche, gli infermieri frontalieri italiani diventano protagonisti di un dibattito acceso sulla nuova tassa. Attraverso gli occhi di un infermiere attivo il quale offrendo uno sguardo autentico sulla discussione riguardante la nuova tassa.
Dietro le quinte della Sanità: riflessioni di un infermiere frontaliero
Secondo la mia modesta opinione, la bassa attrattività della professione infermieristica è causata dalla scarsa considerazione che gli infermieri ricevono dai vertici delle strutture sanitarie .
La proposta della nuova “tassa per la sanità ” ai vecchi frontalieri, inclusa nella legge di bilancio con l'obiettivo di incrementare gli stipendi degli operatori sanitari operanti negli ospedali di confine, è stata accolta con favore, specialmente dai "vertici istituzionali" delle professioni infermieristiche nelle province coinvolte.
Da infermiere italiano, frontaliero da tredici anni, ho riflettuto sulla destinazione di una parte del mio stipendio ai numerosi colleghi che lavorano nelle zone di confine per rendere più attrattiva la professione in quelle aree e potenziare i servizi sanitari locali. Spero sinceramente che questi fondi si traducano in un effettivo miglioramento delle buste paga, che sono indubbiamente ben meritate.
Non intendo entrare nel merito della giustificazione della nuova tassa, secondo cui i lavoratori frontalieri usufruirebbero del servizio sanitario nazionale senza contribuire adeguatamente. Chi difende i lavoratori frontalieri può portare argomentazioni contrarie sicuramente valide. Chiunque voglia approfondire la questione, con onestà intellettuale, può trovare molti articoli e dibattiti recentemente pubblicati.
Ciò che personalmente e sinceramente non mi disturba – sfido chiunque a vivere senza fastidio l’imposizione di una nuova tassa – merita tuttavia alcune riflessioni. Se non mi disturba l’imposizione di una nuova tassa a favore della nostra sanità, mi dà però molto fastidio che fra le righe delle varie dichiarazioni fatte nei media, si dia la colpa della carenza degli operatori sanitari nelle zone di confine agli infermieri frontalieri (peraltro dimenticandosi dei medici e degli altri operatori sanitari). È un tentativo mal riuscito di trovare un capro espiatorio per le molteplici criticità del sistema sanitario nelle zone di confine.
Il problema infermieristico in Italia, presente non solo nelle zone di confine, è cronico e esiste da sempre. Gli infermieri (e non solo) frontalieri non ne sono colpevoli. Forse si dimentica che fino a poche settimane prima della pandemia si presentavano migliaia di infermieri provenienti da tutta Italia per i concorsi, competendo per pochi posti disponibili. Tuttavia, gli ospedali non assumevano, nonostante la disponibilità di infermieri. Un controsenso evidente.
Secondo la mia modesta opinione, la bassa attrattività della professione infermieristica è causata dalla scarsa considerazione che gli infermieri ricevono dai vertici delle strutture sanitarie, spesso non infermieri e, quando lo sono, la situazione può essere persino peggiore. Lo stipendio ne è un esempio emblematico: si paga poco ciò che viene considerato di poco valore. Sugli infermieri non si investe.
Quanti ospedali italiani, pubblici o privati, decidono di finanziare la formazione specialistica del personale infermieristico, magari pagando master universitari o creando convenzioni con enti formativi? Quanti promuovono la ricerca clinica infermieristica, avendo al loro interno infermieri di ricerca capaci di condurre studi clinici o pubblicare articoli? Quanti ospedali italiani (o di confine) hanno infermieri formati in loco in grado di ricercare linee guida assistenziali e di redigere protocolli clinici?
In Svizzera ho trovato tutte queste realtà, mentre in Italia sembra fantascienza. Mi dispiace essere considerato il capro espiatorio della carenza di infermieri. Il mio ricordo dell’Italia (e anche le testimonianze di mia moglie, anch'essa infermiera) è che l'infermiere è visto principalmente come colui che "copre i turni" e si trasforma durante il turno in un operaio di catena di montaggio o in un atleta di una corsa ad ostacoli, senza tempo per la relazione, l'ascolto e la cura. Il numero di infermieri in reparto è deciso in base al minutaggio, concentrato solo sugli atti tecnici.
Mi dispiace che si cerchi di risolvere il problema degli infermieri cercando fondi da chi è più fortunato, anziché implementare soluzioni strutturali che valorizzino la professione a partire dallo stipendio. Sarò felice di contribuire al benessere dei colleghi delle zone di frontiera e di sostenere la sanità locale. Tuttavia, attendo con speranza un cambiamento di condizioni che consenta a me e agli altri 5000 infermieri italiani in Svizzera di "tornare a casa".
Sergio Calzari, infermiere frontaliero
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