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Da infermiere case manager al piano interrato

di Redazione

Michele era un infermiere case manager, aveva un progetto, un lavoro che lo gratificava e per cui si impegnava notte e giorno, senza alcun riconoscimento di tipo economico. Ma a un certo punto ha ceduto allo stress lavorativo. E da lì in poi tutto è cambiato.

La storia di Michele, infermiere ex case manager

uomo triste

La storia di Michele, infermiere ex case manager

Anni fa, ho scelto di fare questa professione subito dopo le superiori, forse perché essendo stato un bambino oncologico e quindi avendo vissuto l’altra parte dell’ospedale sapevo che mi sarebbe piaciuto questo mondo. Mi sono laureato in brevissimo tempo, divoravo i libri, andavo a tirocinio anche con la caviglia fasciata, dimenticando tutta quella che era la vita universitaria da studente fuori sede. Dopo pochi mesi e una piccola esperienza all’estero vinsi un concorso pubblico. Fiero del risultato raggiunto, iniziai il mio percorso: mattine, pomeriggi e notti con colleghi fantastici, da cui continuavo ad apprendere e rubare con gli occhi. Decisi che avrei dovuto continuare a studiare e nel giro di pochi anni, conseguii tre master, sperando che un giorno mi sarebbero serviti. E infatti, circa cinque anni fa, la mia coordinatrice, che per me fu la mia mentore con una grandissima esperienza alle spalle, mi chiese se volessi far parte di un nuovo progetto, l’apertura di un reparto a completa gestione infermieristica.

A 32 anni mi trovavo a ricoprire il ruolo di case manager, con addirittura una lettera d’incarico firmata dal direttore sanitario. Mi sentivo fortunato e finalmente vedevo che tutto quello per cui avevo studiato stava dando i suoi frutti. Tutto procedeva per il verso giusto, i pazienti entravano, i medici (quasi tutti) credevano in noi, avevo colleghi fantastici con i quali si poteva dialogare e progettare tutto quello che era necessario per il paziente. Insomma un vero e proprio piano assistenziale. Tuttavia, dopo circa un anno dall’apertura di questo sogno, quando ormai le luci della ribalta si erano spente, io e i miei colleghi ci sentimmo soli, senza o quasi nessuno che potesse aiutarci nel giostrarci in un ospedale come il nostro, un vero “parco giochi”. Ed io, forse per le troppe responsabilità, (ovviamente non percepivo nessuna retribuzione superiore, ero un infermiere fuori turno secondo l’amministrazione anche se un ordine di servizio scriveva altro), fui trasferito al pronto soccorso con diagnosi di crisi acuta da stress lavorativo. Con 30 giorni di riposo forzato, al mio rientro forse non sentendomi più in grado di poter dare o non riconoscendomi più in quel tanto amato progetto, chiesi di esser spostato.

Bene, da lì in poi ebbe inizio la mia estate d‘inferno, costretto ogni giorno a coprire diversi reparti, a fare turni non consentiti per legge. Dovevo addirittura ricevere una valutazione di come esercitavo la professione da parte di colleghi che mi vedevano solo per sei ore. Un vero e proprio esame, (ovviamente si rifiutarono tutti e li ringrazio ancora per tutto l’appoggio dimostratomi) secondo la dirigenza infermieristica era la strada migliore per me. Come se aver detto di non esser più in grado di fare il case manager dovesse esser una punizione. Ma non mi arresi, anzi, decisi che dovevo ancora studiare e così presi il master in coordinamento. Finora però sono stato accantonato in un servizio ubicato al piano interrato, come se non fossi adatto a ricoprire ruoli di altro tipo. Trattato come quei mobili ingombranti che non sai dove mettere. Tuttavia ho la fortuna di avere una dirigente che crede nei giovani, nella voglia di fare, nel riconoscimento dei titoli.

Per ora aspetto fiducioso che qualcosa cambi. Non colpevolizzo nessuno di quello che mi è accaduto, anzi voglio solo dire alle nuove leve di non arrendersi mai, di credere in quello che si ama e di combattere per quello in cui si crede, anche se c’è ancora tanto da cambiare.

Michele, ex case manager

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Commenti (2)

galass1

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1 commenti

STRESS DA CASE MANAGER

#2

Sono Infermiera Case Manager presso unità operativa Post Acuti a gestione infermieristica Ospedale Maggiore di Bologna dal 2011 il nostro ruolo non è riconosciuto economicamente NEANCHE DA NOI e a quanto ho visto non è prefisso neanche nei profili infermieri di questo sito. Confermo che si tratta di un molto impegnativo. Per affrontarlo ci vogliono grandi capacità organizzative di comunicazione di relazione e soprattutto tante competenze. Sei continuamente sottoposto a problemi che devi risolvere e soprattutto devi avere la forza di importi quando è necessario per il bene del paziente con chiunque si presenti, questo non è da tutti... Il collega in questione non dice cosa gli sia successo nel particolare.. Ma è chiaro che non ha saputo sopportare lo stress... A mio avviso considerando anche l'evoluzione che il ruolo di coordinatore ha assunto negli ultimi anni, almeno nella nostra azienda, credo che non reggerà nemmeno lo stress di quel ruolo. Purtroppo i titoli non sono la garanzia che si è adatti ad assumere quel ruolo!

Nicoletta Garofali

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1 commenti

Tante chiacchiere ma la verita"quale e"?

#1

Ma prima di pubblicare gli articoli,vi sincerate di chiedere se cio che si racconta corrisponde a realta?saremmo onorati al policlinico Umberto I roma di avere una vostra visita