Un saluto, uno sguardo un abbraccio ad una persona, anche nel momento più grave è un dovere al quale non dovremmo sottrarci, un nobile obbligo. È questo il nocciolo della riflessione di Andrea, infermiere, che ha tenuto fortemente a condividere un consiglio: "Il destino è sempre in accordo col tempo, ma a volte ci consente un’ultima azione... non facciamocela sfuggire, un giorno potrebbe essere il nostro ultimo bacio".
Infermieri, non dimentichiamo l'importanza di un gesto
Letto di ospedale
Lavoro in un Dea, quello di Rivoli in provincia di Torino. Il numero di passaggi annui si attesta sopra i 60.000, una bella cifra.
Spesso, soprattutto nei picchi influenzali, il nostro Dea è a livelli di capienza esasperati così come la nostra capacità assistenziale è forzatamente dedicata per lo più alle vere emergenze, a volte togliendo attenzioni alle cose meno gravi da un punto di vista clinico, ma non necessariamente meno importanti su altri piani. Ma questa è la realtà e non solo nostra, a sentire tg e giornali.
Quel che vorrei presentarvi è un avvenimento, di quelli se volete che si possono inquadrare tra quelli clinicamente differibili, ma emotivamente importanti.
Mi trovavo a dare assistenza ad una anziana signora; non ricordo il suo nome perché quel che mi ha segnato non è legato alla sua anagrafica, ma ricordo la chiamata in sala antishock.
Entrando nella sala delle Emergenze lo scenario era dei più comuni: una persona che necessitava di assistenza immediata, una di quelle volte dove il tempo ti picchietta sulla spalla, ma pur di non dargliela vinta cerchi di andar più veloce, pensando di guadagnare terra. Capita poi che ti serva qualcosa che devi prendere in un'altra sala, allora di corsa esci in corridoio sguardo basso e fisso verso l'obiettivo, e come un giocatore di rugby sei pronto ad oltrepassare gli ostacoli pur di essere veloce.
Capita che, tra gli ostacoli, una mano ti faccia cenno di fermarti, alzi lo sguardo e cogli un volto che dire preoccupato può essere riduttivo, due occhi che quasi supplicano conforto fino a che senti dire: È mia madre, posso vederla?
In quell'istante sei pervaso dallo sconforto, pensi a quel che devi ancora fare per far sopravvivere la malcapitata , pensi al tempo sul quale hai guadagnato distanza, ma che si avvicina ed allora con una risposta rapida e quasi stereotipata abbandoni, dicendo: Stiamo facendo il possibile .
Poi torni all'assistenza, fai davvero tutto ciò che sai fare e puoi fare, ma ti accorgi che il destino era già in accordo col tempo, ti accorgi che ad un certo punto tu sei fermo ed il tempo ti supera con un ghigno malefico.
A quel punto quando si aprono le porte della sala, entra il figlio. Quel che trova è un corpo privo di vita, intesa non come battito cardiaco e respiro, trova una cassaforte di sentimenti, affetti, ricordi belli e brutti, ma della quale le chiavi sono oramai scomparse.
Ecco colleghi, da quel momento ho imparato una cosa: a scendere a patti col tempo, col destino . Un saluto, uno sguardo un abbraccio ad una persona, anche nel momento più grave è un dovere al quale non dovremmo sottrarci, un nobile obbligo.
Un saluto prima di eseguire una Tac , un bacio prima di accedere in emodinamica, un saluto prima di un trasferimento in ambulanza .
Il destino è sempre in accordo col tempo, ma a volte ci consente un’ultima azione... non facciamocela sfuggire, un giorno potrebbe essere il nostro ultimo bacio
Andrea Mocciaro , Infermiere
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