Sognare è una libertà che appartiene a tutti e qualche volta il sogno diventa realtà. Ce lo raccontano sin da bambini con le favole e ce lo insegnano le storie vere di chi ce l'ha fatta. Come quella di Miriam, diventata infermiera a 36 anni dopo anni di sacrifici come badante precaria.
Infermieri: fare le notti in Ps spesso vuol dire rischiare la vita
Sala d'attesa di un pronto soccorso
La vita di Miriam non è mai stata facile. Sin da bambina ha dovuto lottare per tutto, anche per andare a scuola in un quartiere dove chi studiava veniva messo alla gogna. In un posto dove non c'era spazio per la cultura e l'altruismo, ma solo per la prevaricazione e l'aggressività. Ed è così che ha perso suo padre. Aveva 35 anni.
Quando mio padre è stato ucciso ero solo una bambina, ma dopo molti anni sento ancora le urla agghiaccianti di mia madre quando vide l'assassino di mio padre sparargli alle spalle , racconta Miriam.
Mario, il padre di Miriam, era anche lui un infermiere e lavorava al Pronto soccorso di un ospedale a pochi chilometri da casa. Come quasi tutti i colleghi faceva i turni e quindi anche le notti. Solo che fare le notti in un Ps posto al centro di un quartiere degradato come quello in cui vivevano, voleva dire rischiare spesso la vita . E questo Mario lo sapeva.
Mio padre ci raccontava spesso ciò che accadeva durante le ore di lavoro in ps – ricorda - minacce, urla, gente in preda ad attacchi di violenza . Eppure lui non ha mai mollato, né chiesto un trasferimento, perché credeva che le persone di quel luogo prima o poi sarebbero cambiate o se non altro non sarebbero mai arrivate ad uccidere qualcuno che era lì per aiutarli. Purtroppo si era sbagliato .
Il giorno della sua morte, Mario aveva da poco smontato dalla notte e come sempre aveva lasciato l'auto nel parcheggio adiacente al palazzo. In mano teneva una borsa con le sue divise sporche, che ad ogni fine turno abitualmente riportava a casa per lavarle. L'ospedale non gli offriva questo servizio.
Dal balcone la moglie, che si svegliava sempre molto presto, lo stava già aspettando con in mano la tazzina di caffè. Ma lui non aveva fatto in tempo a salutarla che un uomo incappucciato a bordo di uno scooter gli passò dietro le spalle, sparandogli.
È inutile raccontare la disperazione e le urla di mia madre che mi svegliarono all'improvviso gelandomi il sangue. Avevo capito immediatamente che si trattava di mio padre, ma non avrei mai immaginato quello che è accaduto. Quando mi sono affacciata dal balcone mio padre era riverso a terra, con le braccia appoggiate sulla busta con le sue divise. Attorno un lago di sangue .
Dopo avere partecipato a molte sedute dallo psicologo dell'Asl e alcuni mesi di indagini è stato scoperto che ad ucciderlo era stato un nostro vicino di casa che era anche un paziente "affezionato" del ps.
Uno spacciatore e tossicodipendente, a cui mio padre durante il triage aveva chiesto di aspettare, nonostante lui ritenesse che il suo mal di testa fosse più grave di un arresto cardiocircolatorio
In realtà, quest'uomo soffriva di emicranie frequenti per via delle crisi di astinenza e quindi si recava spesso in Pronto soccorso per cercare aiuto. E lì trovava sempre qualcuno pronto ad assisterlo .
Da quel giorno la vita di Miriam è cambiata completamente. La madre ha cercato di portare avanti la casa con lavoretti saltuari e lei ha imparato presto cosa fosse la miseria. Il resto della famiglia non è mai stato presente, mentre tra i vicini in pochi le hanno aiutate. La maggior parte di loro pensava che Mario fosse morto da colpevole, in quanto quel giorno in ospedale non aveva privilegiato "uno del quartiere" .
Dopo gli studi, con molti sacrifici all'età di 18 anni mia madre mi ha fatto frequentare un corso a pagamento per diventare assistente anziani e così presto ho iniziato a lavorare a domicilio. Per un lungo periodo ho lavorato anche come badante convivente e con quei quattro soldi in più ero riuscita ad aiutare mia madre nelle spese e a mettere da parte qualcosa per l'università .
Non vi nego che nonostante le enormi difficoltà economiche ho avuto sempre il coraggio di sognare. Per me immaginavo una vita da infermiera di Pronto soccorso . Esattamente come mio padre. Ammetto che non è stato facile e ad un certo punto ho anche perso le speranze, poi però grazie ai soldi che avevo da parte e al mio fidanzato, adesso mio marito, sono riuscita a farcela dice Miriam con le lacrime agli occhi.
Dopo la laurea Miriam ha lavorato per un periodo nello stesso ospedale del padre e ha cercato di cambiare il mondo attorno a lei. Come mio padre non volevo arrendermi alla cattiveria e all'ignoranza di alcune persone. Volevo dimostrare a tutti che se fai il tuo lavoro con amore e professionalità, niente può farti paura .
In ospedale ho lanciato una campagna contro gli abusi verso i sanitari , nella zona in cui abitavo invece avevo aperto un'associazione di volontariato di infermieri di quartiere per lanciare un messaggio positivo alla cittadinanza e dire che noi eravamo lì per aiutarli. Per un po' ha funzionato. Le persone ci contattavano, a volte in anonimato, per chiederci aiuto o consigli. Poi le cose si sono messe di nuovo male. Una mia collega ha rischiato un'aggressione e così abbiamo chiuso l'associazione e ognuno ha fatto altre scelte. Io e mio marito per esempio abbiamo deciso di trasferirci e cambiare vita , confessa l'infermiera quasi sotto voce.
Forse perché, nonostante abbia fatto la scelta giusta per la sua sicurezza, sente dentro di sé un piccolo senso di colpa per non avere realizzato il sogno di suo padre.
Oggi Miriam lavora nel nord Italia come infermiera di Pronto soccorso. Ha seguito un master in area critica ed emergenza urgenza e sogna ancora di tornare a vivere nel suo quartiere per dare una speranza a chi ha tanti sogni come lei, ma non riesce a realizzarli.
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