Il caso della sedicenne Eva Ruscio,morta a seguito di un black out in sala operatoria durante l’intervento per ascesso tonsillare, ecco cosa emerge dalla sentenza
Da quanto emerso in cassazione Eva accusò i primi segni di affezione tonsillare il 30 novembre 2007, il primo dicembre fu visitata dal medico di famiglia che diagnosticò ascesso tonsillare e prescrisse antibiotico e cortisone. Fu poi ricoverata in ospedale il 3 dicembre.
“La paziente venne visitata dal primario dr. Sorrentino e dal dr. Suraci. Fu diagnosticato asceso peritonsillare con edema. Venne prescritta terapia con cefalosporine in endovena e cortisonico.
Al mattino del 5 dicembre la giovane venne condotta in sala operatoria per esecuzione di tracheotomia resa necessaria per l'ingravescenza della patologia. Qui l'anestesista tentò due volte di dar corso ad anestesia generale con somministrazione di curaro ed intubazione; ma senza esito. L'effetto miorilassante del curaro determinò la paralisi dei muscoli respiratori con conseguente totale occlusione delle vie respiratorie. Sopraggiunge anossia con desaturazione.
In tale drammatica contingenza il dr. Sorrentino tentò l'esecuzione di tracheotomia in emergenza, ma senza esito. Il bisturi incise pure l'esofago e lese alcuni vasi. Sopravvenne l'esito letale per arresto cardiocircolatorio seguito ad asfissia indotta farmacologicamente.
La Corte di Cassazione chiarisce: “la condotta dell'anestesista dr. Costa è stata ritenuta altamente censurabile da tutti gli esperti. La procedura di anestesia generale con intubazione a rapida sequenza dopo somministrazione di curaro era del tutto inappropriata. Il rilassamento dei muscoli respiratori unitamente all'ascesso ha determinato la completa occlusione delle vie respiratorie; ha impedito la respirazione autonoma, ha altresì ostacolato l'intubazione, con la conseguenza che è intervenuta asfissia anche a seguito dell'edema ulteriore indotto dai tentativi di inserimento del tubo respiratorio.
La morte fu determinata dal già evocato gravissimo errore dell'anestesista.
Le considerazioni esposte valgono anche a mettere a fuoco la posizione del primario dr. Sorrentino. Alla luce di quanto si è sin qui considerato appare immediatamente chiaro che gli errori afferenti alle omesse indagini strumentali non hanno assunto rilievo causale nei suoi confronti come nei confronti degli altri terapeuti.
Discorso diverso va fatto, invece, per ciò che attiene alla condotta tenuta in sala operatoria. È infatti emerso che egli ebbe ben chiaro che i tentativi di anestesia con curaro avrebbero prodotto l'ingravescenza dell'edema ed il grave pericolo di blocco respiratorio poi puntualmente concretizzatosi. L'addebito colposo che gli è stato mosso, come si è visto, è proprio quello di non aver impedito tale anestesia; di essere stato acquiescente.
Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente la valutazione espressa a tale riguardo dal Tribunale non è nel suo nucleo divergente: si afferma infatti che egli aveva ben chiaro il rischio e dovrebbe dunque dovuto opporsi rifiutando di eseguire l'intervento in quelle rischiose condizioni.
Si è ha avuto modo di affermare che, in tema di colpa medica nell'attività di équipe, ciascuno dei soggetti che si dividono il lavoro risponde dell'evento illecito, non solo per non aver osservato le regole di diligenza, prudenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte, ma altresì per non essersi fatto carico dei rischi connessi agli errori riconoscibili commessi nelle fasi antecedenti o contestuali al suo specifico intervento.
Il lavoro in equipe vede la istituzionale cooperazione di diversi soggetti, spesso portatori di distinte competenze. Tale attività deve essere integrata e coordinata, va sottratta all'anarchismo. Per questo assume rilievo il ruolo di guida del capo del gruppo di lavoro. Costui, come si è visto, non può disinteressarsi del tutto dell'attività degli altri terapeuti, ma deve al contrario dirigerla, coordinarla. Nei suoi confronti non opera„ in linea di massima, il principio di affidamento.
Naturalmente, però, tale responsabilità non è senza limiti. Accade, infatti, che sia in questione sapere altamente specialistico che giustifica la preminenza del ruolo decisorio ed della responsabilità della figura che è portatrice della maggiori competenze specialistiche.
Per esemplificare, l'anestesista rianimatore è portatore dei conoscenze specialistiche ed assume la connessa responsabilità in relazione alle fasi di qualche qualificata complessità nell'ambito dell'atto operatorio. Diverso discorso va fatto, invece, per ciò che attiene a scelte e determinazioni che rientrano nel comune sapere di un accorto terapeuta; nonché per quanto riguarda ambiti interdisciplinari, nei quali è coinvolta la concorrente competenza di diverse figure.
In tali situazioni riemerge il ruolo di guida e responsabilità del capo equipe. Si vuoi dire che quando l'errore è riconoscibile perché banale o perché coinvolge la sfera di conoscenza del capo equipe, questi non può esimersi dal dirigere la comune azione ed imporre la soluzione più appropriata, ai fine di sottrarre l'atto terapeutico al già paventato anarchismo. Egli dovrà dunque avvalersi dell'autorità connessa al ruolo istituzionale affidatogli.
Naturalmente tale ruolo direttivo potrà esplicarsi in guise diverse nella contingenti situazioni concrete.
Di certo, di fronte al rifiuto di attenersi alle direttive impartite, il capo equipe ben potrà sospendere l'attività, ove non si versi in una situazione di assoluta urgenza.
Alla luce di tali principi appare corretta la valutazione dei giudici di merito. Si era in presenza di specifica questione anestesiologica di carattere interdisciplinare, posto che il tema afferente alla tipologia dell'anestesia interferiva con quella afferente al controllo dell'edema e delle funzioni respiratori; e rientrava nella sfera di conoscenza del chirurgo otorino la ponderazione delle implicazioni connesse all'anestesia curarica.
Ciò è tanto vero che egli manifestò il suo punto di vista che risultò corretto, ma non ne trasse la conseguenza necessaria; cioè il dovere di impedire l'anestesia eventualmente sospendendo l'esecuzione dell'atto operatorio che, come si è visto, era urgente ma non impellente.”
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