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Quota annuale Ipasvi: dovere indiscriminato di ogni professionista o principio incostituzionale?

di Emiliano Boi

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LA SPEZIA. Perché pagare tutti, indistintamente, la stessa quota annuale all'Ipasvi? Una domanda che molti infermieri italiani si pongono, dato il periodo di profonda crisi economica aggravato dal preoccupante tasso di disoccupazione oltre che dal blocco dei contratti del pubblico impiego.

 

L'Ipasvi è un ente di diritto pubblico non economico a cui lo Stato delega le funzioni, a livello nazionale, di "tutela e rappresentanza" della professione infermieristica, nell’interesse degli iscritti e dei cittadini fruitori delle competenze che l’appartenenza a un Ordine di per sé certifica. La Federazione nazionale è vigilata direttamente dal Ministero della Salute e coordina i Collegi provinciali, che tra i loro compiti istituzionali hanno quello della tenuta degli albi dei professionisti, i quali, per poter esercitare la loro attività, hanno l'obbligo di esservi iscritti e di versamento della quota annuale.

 

La ricerca di una giustificazione della quota annuale che grava su ogni infermiere italiano, che il più delle volte non ha ricevuto una corretta e sintetica risposta, non implica valutazioni politiche o personalistiche; una risposta di buon senso e di uguaglianza, principi di cui la nostra Costituzione si fa portatrice, in realtà racchiuderebbe ciò che di più ragionevole e sansato ci sia.

 

L’articolo 53 della Costituzione della Repubblica Italiana dispone che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, ed aggiunge il sistema tributario è informato a criteri di progressività; in "soldoni" vuol dire che ognuno paga per quel che può e chi più ne ha, più contribuisce; chi non lo fa, giacché evasore, è evidentemente in contrasto con una regola addirittura fondativa del nostro stare insieme e, per questo, va perseguito e punito.

 


Il dovere di concorrere alle spese dello Stato e degli enti che ad esso fanno capo appartiene a quei doveri inderogabili di solidarietà fra cittadini enunciati nell'articolo 2 della medesima Costituzione: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo... e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica, politica e sociale. Spesso nella lettura di quest'ultimo articolo ci si ferma a metà, dando risalto solo alla parte dei diritti inviolabili, dimenticando che la congiunzione coordinante serve a collegare due sintagmi della medesima importanza all'interno di uno stesso periodo.

 

L'art. 53 inizia con la parola "tutti", perchè nessuno è escluso dal dovere di contribuire alle spese pubbliche, affinchè siano pagati quei servizi e prestazioni, che saranno poi impartiti a soggetti anche diversi e in luoghi diversi da chi li paga. Il fondamento del dovere tributario non risiede in un rapporto communtativo del singolo con lo Stato e le sue Istituzioni, ma nel più ampio dovere di solidarietà.Il singolo non è infatti chiamato a contribuire in rapporto a ciò che riceve, ma in ragione della sua capacità contributiva e, sebbene ognuno contribuisca in modo differente, i servizi saranno garantiti a tutti senza distinzione alcuna. Qualsivoglia tributo quindi non adempie solo allo scopo fiscale di procurare entrate allo Stato o agli enti ad esso correlati, ma anche allo scopo extrafiscale di essere un mezzo di attuazione del principio di solidarietà, compito che la Costituzione assegna alla Repubblica.

 

Logica vuole che le dazioni che ogni cittadino fa, sotto forma di tasse e/o imposte o qualsivoglia contributo, debbano essere giuste, limpide e, soprattutto, eque; e allora come mai tutti gli infermieri italiani, a prescindere dalla loro capacità contributiva, sono tenuti a versare la medesima quota all'Ipasvi?

 

La risposta, a mio parere sta nella nostra Costituzione. Da una attenta analisi di quanto finora detto è indubbio che far pagare a tutti, indistintamente, la medesima quota di iscrizione, non solo lede il principio di equità ma altresì quello di solidarietà nei confronti degli stessi esercenti la professione.

 

Alla luce di quanto detto, personalmente ritengo sia assolutamente incostituzionale che gli infermieri disoccupati, e quindi privi di reddito, vengano obbligati al pagamento della quota Ipasvi nella stessa misura di chi, come me, ha la fortuna di poter contare su un reddito; allo stesso modo, trovo assurdo che la dirigenza infermieristica (sia essa istituzionale, ospedaliera o universitaria) debba continuare a contribuire economicamente alla stregua di chi, suo malgrado, rischia di non riuscire a far fronte nemmeno all'acquisto di beni di prima necessità.

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