Il sondaggio fatto in merito alle società scientifiche infermieristiche offre interessanti spunti di riflessione, a partire da una certa rappresentatività statistica dato il numero di 733 risposte totalizzate. In primo luogo, il macro-aggregato dei non iscritti, fra coloro che hanno risposto "no" (63,7%), "no, ma vorrei" (8,7%) e "sì, ma in passato" (3,3%) conduce ad un 75,7%, che mostra come tre infermieri su quattro (del campione esaminato) non sia iscritto a società scientifiche.
Società scientifiche infermieristiche, una fotografia
Un fatto che va a rafforzare il quadro generale, già delineato nell’articolo relativo al sondaggio, di un corpo professionale pervaso da una scarsa motivazione e informazione verso le società scientifiche.
Una sorta di “laissez faire” quasi endemico che va ai corsi ECM solo se gratuiti o obbligatori, oppure che giustifica comportamenti procedurali errati con frasi del tipo “si è fatto sempre così”, o che non trova grande interesse e non relativa partecipazione alle attività extra-lavorative, a livello sindacale, politico, di volontariato o anche corporativo, visto l’onnipresente scarso afflusso alle tornate elettorali per il rinnovo delle cariche dei Collegi/Ordini Provinciali che, tutto possono considerarsi, tranne di rappresentare una percentuale maggioritaria – nei fatti – degli infermieri iscritti.
Sull’altro versante va detto che le società scientifiche infermieristiche, al di là della dimensione associativa, debbono ancora pienamente svilupparsi. In merito può essere utile il confronto fra i due diversi elenchi pubblicati a cura della FNOPI delle associazioni infermieristiche presenti in Italia nel 2014 e nel 2018; dove si può vedere che si è passati da un numero di associazioni di 47 nel 2014 alle 58 attuali, con una crescita del 23,4%.
Una discreta percentuale in appena quattro anni e in tempi di regressione economica, ristrutturazione del welfare sanitario e contrazione del mercato occupazionale relativo alle professioni sanitarie, con una numerosità poi (per i dati del 2014) che non si discosta di molto da quella di altri paesi europei come la Germania (42) o la Francia, che mostra però qualche numero decisamente più alto (72).
Ciò che desta interesse invece è il numero di 12 associazioni infermieristiche (il 4,09% di 293 in totale) presenti all’interno di quelle riconosciute come società scientifiche dal Ministero della Salute. Pochine non c’è dubbio, anche se la mera interpretazione quantitativa deve essere superata per porsi in una prospettiva di lettura d’insieme, che parta dall’oggetto di cui si sta parlando: le società scientifiche in quanto tali in Italia dopo la legge Gelli-Bianco.
Legge che sostanzialmente trasforma la responsabilità contrattuale del professionista in responsabilità extra-contrattuale, mentre resta quella contrattuale dell’azienda. Una legge maggiormente garantista nei confronti del professionista e che cerca di mettere ordine sulla regolamentazione dell’uso delle linee guida, delle buone pratiche sanitarie e dei protocolli applicativi.
Da qui un rafforzamento delle raccomandazioni che saranno date da società scientifiche, oltre che dai grandi istituti e agenzie pubbliche e private (OMS, CDC, Ministero, ISTSAN, etc.). Una buona prospettiva dato che, lavorare in campo medico e infermieristico, con la forza di raccomandazioni scientifiche, pone professionista ed utente su di un piano maggiore di sicurezza ed outcome positivi, anche se non manca qualche criticità.
Prospettive future società scientifiche: c'è ottimismo, ma non troppo
In particolare c’è il rischio di un proliferare di società scientifiche che nella sostanza avranno notevoli difficoltà a produrre risultati di rilievo, dato che le ricerche, i trial, le sperimentazioni, ecc. hanno costi molto elevati.
Alla fine il rischio è quello di trovarsi di fronte ad un proliferare di società scientifiche in grado di dare poco più che indicazioni di fondo, quali prodotto riflesso di risultati di grandi agenzie internazionali sanitarie o private, legate al mercato, alla produzione di farmaci, di strumenti, supporti etc. con la possibilità concreta di alimentare più le buone vendite che non le buone pratiche.
Voglia di polemica? No, ma come diceva qualcuno “A pensar male …”. E con questa sensazione di disagio di fondo, ovviamente viene da essere poco ottimisti riguardo quei soggetti (le professioni) maggiormente fragili, o meno rappresentate, o con peso economico e finanziario prossimo allo zero, che significa in termini semplici l’essere scarsamente appetibili per la grande distribuzione/produzione industriale.
Il 4,09% delle società scientifiche infermieristiche riconosciute è poca cosa in confronto alla stessa capacità di produrre una massa d’urto finanziaria e di saperi, professionale cognitiva, teorica e giuridica che si rende necessaria per condurre sperimentazioni utili al progresso.
E quello che in questi anni non è riuscito a prodursi fra associazioni infermieristiche diverse fra loro, nell’intraprendere percorsi condivisi di collaborazione diffusa, di volontariato aperto e di formazione coinvolgente, come potrà prodursi sul piano della ricerca in assenza di una prospettiva comune, di un sentore condiviso, di un essere unitario e composito? La sfida delle società scientifiche si vince sul piano dell’identità e della partecipazione, fuori dai giochi di potere, dalle voglie di satrapie e meschinità territoriali di sorta.
Alla fine le società scientifiche infermieristiche si troveranno da una parte, a crescere nel numero di affiliati grazie alle spinte autoritative della Gelli, dall’altra dovranno far fronte alla polverizzazione dei saperi e all’immobilismo della ricerca, per mancanza di risorse economiche.
Molte sono le possibilità future dello strutturarsi di un'identità professionale fortemente passiva di fronte ai cambiamenti e al progresso, che quasi preferisce - e potrà cullarsi in questo - essere oggetto delle scelte che non soggetto delle azioni.
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