Essere oggi infermieri è difficile e forse il primo problema nasce dalla crisi di identità che la nostra professione sta vivendo. Abbiamo provato ad applicare la scala di Maslow, sui bisogno della persona, alla professione infermieristica.
Quei bisogni che la professione spesso lascia insoddisfatti
Chi è prestatore di opera ha bisogno di aver soddisfatto alcune condizioni base relative alle proprie necessità personali. Necessità, non esigenze.
Andiamo ad analizzare il nostro agire quotidiano, professionalmente parlando, secondo la scala suddetta, provando a comprendere se tutti i bisogni primari vengono soddisfatti ed eventualmente a quale scalino ci fermiamo.
I bisogni fisiologici, vengono rispettati se non si è dediti a una turnazione che prevede il lavoro notturno. È ben noto che lavorare, specie per lunghi periodi, di notte può avere effetti deleteri importanti e sull’individuo e sul mondo relazionale. Si rende quindi necessaria una vera e seria riflessione in merito. Il rispetto del ritmo circadiano è fondamentale per coniugare il benessere fisico a quello sociale. Anche i bisogni di sicurezza, quelli che dovrebbero garantire una certa tranquillità all’individuo, non sempre vengono rispettati. Si prendano a esempio i colleghi con contratto interinale o a termine. Sono certamente soggetti a stati d’ansia e preoccupazione per il loro futuro professionale e quindi personale. Quale futuro può essere loro garantito? Può un genitore soddisfare una propria condizione di tranquillità se non ha garantita una prosecuzione lavorativa? Essere proprietari di una casa pone l’individuo in uno stato di sicurezza per il proprio futuro. Ma se il lavoro non è a tempo indeterminato nessun istituto di credito concede un mutuo per l’acquisto della prima casa. Inoltre, se in una famiglia il lavoratore è un solo soggetto come si può pensare di provvedere all’acquisto di un immobile? Probabilmente diventa difficile riuscire a pagare l’affitto mensile. E allora quale condizione di sicurezza viene esercitata?
Ammesso e non concesso che ci si trovi a soddisfare le prime due condizioni, vediamo come ci si riesce a collocare salendo la scala dei bisogni motivazionali. Il terzo gradino è quello relativo al bisogno di appartenenza. Naturalmente i bisogni individuali possono essere soddisfatti, o no, sia a livello lavorativo che extra. Ciò che però non deve essere dimenticato è che, essendo la vita un sistema complesso, una condizione non può non inficiare l’altra. O meglio, se io non sto bene in famiglia e ho una serie di problemi personali è possibile che questa mia condizione di disagio si ripercuota sul momento lavorativo, andando a incidere negativamente sul mio agire professionale. È altrettanto vero, però, che il mio malessere sul luogo del lavoro non si esaurisce al momento della fine del servizio. Tale condizione, molto probabilmente, me la porterò a casa con possibili conseguenze negative in ambito famigliare. Il desiderato professionale è sentirsi parte di un gruppo e partecipare alla costruzione di percorsi lavorativi. Questa è una delle condizioni che si ha esigenza di vedere soddisfatte. Ma è cosa risaputa quanto queste situazioni risultino sempre meno soddisfatte in ambito lavorativo. E allora come può crescere un infermiere se il proprio benessere professionale non viene appagato?
Come si riesce a compiere il proprio bisogno di stima e autostima se non viene sviluppato a dovere il senso di appartenenza? Essere riconosciuti come soggetto attivo e importante in un contesto operativo soddisfa il bisogno di stima cui ogni serio professionista ambisce. A oggi, a noi professionisti della salute, tali condizioni sono difficilmente esaudite. I contesti lavorativi, salvo le doverose eccezioni, non prevedono la soddisfazione di tali bisogni, molto più semplicemente si è considerati due braccia, meglio se acefale, ove la sostituzione è sempre possibile. Il mercato del lavoro, così come è oggi, prevede un facile avvicendamento, specie nei casi in cui il lavoratore è soggetto difficilmente omologabile. Segno, tremendamente, negativo di questi tempi.
In ultimo la scala di Maslow prevede lo step dell’autorealizzazione mediante la soddisfazione del proprio ruolo sociale. Ebbene qui mi sento, almeno in parte, di dissentire, specie se la propria realizzazione si pretende che avvenga attraverso il proprio ruolo professionale. Pensare di creare un’unità duale dove professione e vita sociale si identificano è un grave limite che pone le persone, soggette a questo stato di cose, in una condizione di difficoltà psicologica e di mancata consapevolezza del sistema vita. Spesso voler appagare la propria esigenza di autorealizzazione, attraverso il solo meccanismo professionale denota un sovradimensionamento della propria persona e una scarsa considerazione degli altri. Inoltre, pone una condizione negativa che si rivela quando il proprio ruolo professionale si esaurisce. Chi non ha mai conosciuto medici che, nonostante messi a riposo per questione anagrafica, continuano a frequentare il luogo di lavoro per non sentirsi spersonalizzati? Quanta tristezza in questo tipo di umanità, soprattutto se si pensa che sono persone con un discreto bagaglio culturale, probabilmente solo troppo specifico. La parcellizzazione del sapere depaupera la conoscenza.
Può un infermiere crescere professionalmente se le proprie esigenze lavorative non vengono poste in essere? Probabilmente qualcuno ci riuscirà, ma saranno pochi. Per essere un bravo cantautore bisogna passare molto tempo a pensare, per passare molto tempo a pensare non bisogna lavorare o, quantomeno, esercitare una professione che stanca poco, molto poco. In questo De Andrè è un ottimo esempio. Allora come può la professione infermieristica dirsi intellettuale se prima non ha soddisfatto i bisogni motivazionali, che appartengono a ogni essere umano e in questo caso a ogni infermiere? Urge una risposta.
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