Il Covid ha lasciato solitudine e isolamento nei luoghi di cura. Le porte dei nosocomi e delle RSA sono state chiuse ai parenti per paura di diffondere il virus e anche ora che ci stiamo lentamente avvicinando, ancora con qualche intoppo, alla ripresa di una vita abituale, manteniamo alte le difese e le restrizioni alle visite che, in molti casi, se va bene sono limitate a 30 minuti e ad un solo parente. E allora viene da domandarsi che cosa sia esattamente la relazione di cura e dove sia finita.
Avere il proprio caro accanto non è una concessione, ma un diritto
Quel tempo di cura, che tanto decantiamo e rivendichiamo ogni giorno come caratteristica fondante e che ci distingue da tutte le altre professioni sanitarie.
La vicinanza al paziente, ma non solo a lui. Già perché il paziente è anche famiglia, ascolto, conforto, contatto, tatto, vicinanza. Poter stare accanto.
Questo sta mancando ed è un campanello d’allarme che sta risuonando forte e chiaro, nelle stanze delle corsie, dove i sorrisi sono più spenti e il brulicare di voci è più basso.
Eppure, c’era stato un momento pre-pandemico in cui eravamo più aperti, persino le aree critiche, da sempre maggiormente ingabbiate nei ristretti orari di visita, un po’ per natura, un po’ per esigenze organizzative, un po’ forse solo per abitudine, fin troppo consolidata. Nonostante questo, anche lì eravamo riusciti ad aumentare l’accoglienza ai parenti dei nostri pazienti, favorendo la vicinanza al familiare, il benessere del paziente e la qualità delle cure.
I più conservatori continueranno a mantenere separati questi due aspetti, ma non è così. Avere il parente migliora la qualità delle cure, non le ostacola, questo è un pregiudizio, un retaggio culturale, che, come tanti altri, ci portiamo dietro come una pesante zavorra, da oramai troppi anni. È il tempo di dirlo chiaramente, è tempo di provare a riconquistare una nuova forma di normalità, in cui le porte dei nostri nosocomi e RSA inizino a riaprirsi e a consentire la permanenza del familiare accanto al suo caro, per più di soli 30 minuti.
Il nuovo numero della rivista scientifica Assistenza Infermieristica e Ricerca (AIR) dedica un intero dossier a questa tematica, apportando vissuti ed evidenze di questo isolamento che stiamo vivendo. Ci racconta l’esperienza dei familiari di un reparto di riabilitazione, delle videochiamate tra pazienti e familiari, dell’impatto di un esempio positivo, come una rianimazione Covid aperta, sul personale infermieristico.
Il tema dell’inclusione dei familiari nel percorso di cura dei nostri assistiti non è novità, ma è qualcosa che risuona nelle discussioni professionali già da almeno un ventennio. E se pensiamo che questa restrizione ci tuteli da una maggiore diffusione del Covid o altri virus o batteri ci sbagliamo, perché le evidenze scientifiche a sostegno di questa tesi non sono così robuste.
Il Covid ci ha imposto una chiusura netta delle visite, ma sembra che questa stia continuando a protrarsi nel tempo senza una reale necessità. La sensazione è che si sia persa un po' la retta via, in che direzione vogliamo andare? Saltiamo indietro nel tempo oppure decidiamo di guardare avanti alla ricerca di una normalità tanto agognata?
Forse ognuno dovrebbe immaginarsi in quel contesto per poterne comprendere la solitudine e le difficoltà, avere il proprio caro accanto non è una concessione ma un diritto, che noi come garanti di cura ed advocacy dobbiamo assicurare. Talvolta anche facendo da collante con la famiglia, ovvero fornendo le informazioni che desidera avere.
C’è così tanto di assistenziale che spesso ci perdiamo, non comunichiamo e tutto il nostro lavoro (che è moltissimo) così non sembra fatto, anche se abbiamo percorso quella corsia in lungo e in largo, tutto il turno e senza sosta. Domandiamoci più spesso cosa interessa ai familiari dei nostri cari, forse le domande potrebbero essere più semplici di quanto pensiamo: Sta bene? Ha mangiato? Ha dormito? Ha avuto male? Ha fatto gli esami? La visita? Come dovremo gestire il suo rientro a casa? Di cosa necessiterà?
Fare educazione sanitaria e terapeutica.
A quali di queste domande l’infermiere non può rispondere? Nessuna. La parte assistenziale è quella più vicina al paziente e di maggiore interesse anche per il familiare, che desidera esclusivamente sapere che qualcuno si è preso cura del suo caro. Tutto questo poi deve essere ovviamente affiancato da un colloquio con il curante che garantirà la trasmissione delle informazioni di carattere medico, come già avviene abitualmente.
Perché il nuovo numero di AIR ci invita con i suoi contributi a riflettere su questo tema? Perché non dobbiamo dimenticarci che la relazione viene prima di tutto, sempre.
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