Infermiere e prevenzione dei Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) una vera e propria emergenza sanitaria, 3 milioni all’anno i nuovi casi in Italia, decine di milioni nel mondo.
FIRENZE. “Bisogna mangiare per vivere, non vivere per mangiare”. Questa citazione di Socrate esprime a chiare lettere la dicotomia insita nelle esistenze delle persone affette da Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA).
Ad oggi i DCA costituiscono una vera e propria emergenza sanitaria, una malattia globalizzata che per il momento non sembra trovare un argine alla sua crescita esponenziale. I dati parlano chiaro: circa 3 milioni all’anno i nuovi casi in Italia , decine di milioni nel mondo.
La prevalenza dei DCA, piuttosto bassa nella popolazione generale, sale in modo marcato in alcune fasce di popolazione: in particolare si tratta delle ragazze in età adolescenziale, è stimato infatti che ogni 100 adolescenti almeno 10 soffrano di qualche disturbo collegato all’alimentazione.
Per quanto riguarda il rapporto maschi-femmine, i dati non lasciano dubbi: i DCA sono una malattia al femminile: il rapporto femmine - maschi è infatti di 9 a 1.
Secondo le più recenti linee guida distinguiamo nell’ambito dei DCA:
- Anoressia Nervosa
- Bulimia nervosa
- Disturbi del Comportamento Alimentare Non Altrimenti Specificati (NAS)
- Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder)
Si tratta di disturbi molto complessi e difficili da trattare, innanzitutto per il fatto che non esiste un’ unica causa che da sola possa determinare lo sviluppo di un DCA. Fra i fattori di rischio per lo sviluppo di DCA distinguiamo:
- familiarità per disturbi psichiatrici
- possibili eventi avversi/traumatici
- malattie croniche dell’infanzia e difficoltà alimentari precoci
- appartenenza a gruppi in cui è maggiore la pressione socio-culturale verso la magrezza (modelle, ginnaste, danzatrici)
- percezione e interiorizzazione dell’ideale di magrezza, insoddisfazione dell’immagine corporea
- scarsa autostima e perfezionismo
- stati emotivi negativi
Ciò che rende insidiosi questi disturbi è il fatto che spesso vengono diagnosticati in fase ormai avanzata: questo perché spesso il ragazzo/a tende a misconoscere il disturbo e a rifiutare aiuto finchè la malattia non ha un impatto globale sulla vita quotidiana ed è quindi ormai in fase conclamata.
Il trattamento dei DCA è molto complesso, si attua sul lungo termine ed è fortemente basato sull’ integrazione multi-professionale e sulla coesione dei membri dell’equipe sanitaria (medici, psicologi, infermieri,nutrizionisti, educatori ecc…). Innumerevoli studi evidenziano che uno dei punti cardine nell’ambito del trattamento dei DCA è il modello bio-psico-sociale, ossia un approccio globale ed olistico che considera tutti i livelli di funzionamento della persona: biologico, psicologico e socio-relazionale.
Se da una parte sono presenti innumerevoli studi sul trattamento dei DCA e sul ruolo dell’infermiere in questo processo, la stessa cosa non può esser detta per la prevenzione degli stessi, aspetto ancora troppo spesso sottovalutato. E’ evidente invece che, vista l’estrema complessità di questi disturbi e l’ingente quantità di risorse sanitarie necessarie per il loro trattamento, la strategia vincente passa proprio da una prevenzione efficace.
E’ proprio questo uno dei campi che ad oggi sempre di più vede protagonista l’ infermiere, in quanto professionista che, come ci ricorda il Codice Deontologico, “riconosce la salute come bene fondamentale della persona e interesse della collettività e si impegna a tutelarla con attività di prevenzione, cura, riabilitazione e palliazione.”
Gli interventi di prevenzione vengono solitamente suddivisi in primari, secondari o terziari in base al momento in cui si agisce, ovvero:
- Prevenzione primaria: prima dell’insorgenza della malattia
- Prevenzione secondaria: alle prime avvisaglie di sintomi
- Prevenzione terziaria: quando il disturbo è conclamato; coincide di fatto con il trattamento vero e proprio del disturbo
La domanda che tuttora ci si pone e che continua a dividere gli studiosi è: Può essere attuata una prevenzione primaria dei disturbi alimentari?
Ancora oggi infatti sono molti i quesiti sulla possibilità di prevenzione dei DCA e le risposte date a questo proposito non sono univoche.
In letteratura non si trovano molti studi riguardo progetti di prevenzione primaria per i DCA, inoltre i pochi programmi messi in atto negli ultimi anni (rivolti ad un target di adolescenti maschi e femmine) hanno portato ad evidenze spesso anche in contrasto fra loro.
Uno dei motivi alla base di questa difficoltà è proprio la patogenesi dei DCA ed in particolare il fatto che questi disturbi sono dovuti a vari fattori concomitanti, molti dei quali ancora oggi non conosciuti.
Ovvio che questo, dal punto di vista della prevenzione primaria, costituisce un limite: si può intervenire infatti sui fattori noti ma non su quelli non ancora conosciuti. Inoltre, rispetto ai fattori noti, vanno divisi quelli sui quali è possibile intervenire da quelli sui quali, al momento attuale, non è ancora possibile intervenire.
E’ evidente quindi come, per poter mettere a punto degli efficaci programmi preventivi, sarà necessario anzitutto individuare quei fattori di rischio su cui possiamo intervenire.
Fra i fattori di rischio per i DCA su cui è possibile intervenire ci sono:
- l’età adolescenziale
- il sesso femminile
- la pressione mediatica su ideali di “peso perfetto”
- l’impatto dell’ambiente di vita (famiglia, scuola, sport)
- Scarsa autostima e svalutazione della propria immagine corporea
Uno degli aspetti che accomuna i progetti preventivi realizzati in questo ambito è il target di riferimento, costituito dalla fetta di popolazione più suscettibile, ossia gli adolescenti ed in particolare le giovani ragazze.
Qui di seguito alcune delle possibili strategie di prevenzione e campi di applicazione:
- programmi psico-educativi sulla nutrizione e l’attività fisica
- educazione volta a contrastare le pressioni sociali di magrezza e a valorizzare un’ immagine corporea compatibile con la salute fisica e mentale
- perseguire il miglioramento del’autostima
In realtà scarse sono le evidenze dell’efficacia di interventi simili attuati fino ad oggi, innanzitutto perché non sempre e non necessariamente ad un miglioramento della conoscenza segue anche un migliore outcome nell’ambito dei DCA.
Molti studi hanno invece appurato l’utilità di interventi che stimolino la discussione e lo sviluppo di un maggior senso critico nei confronti dei messaggi dei mass-media.
C’è da dire oltre tutto che spesso interventi simili non si occupano esclusivamente di DCA ma comprendono anche le diverse problematiche adolescenziali (soprattutto problemi col corpo, l’autostima e le difficoltà interpersonali) e si occupano di identificare ed eventualmente modificare nozioni e convinzioni errate, spesso radicate nei giovani, con ricadute positive ad ampio spettro e che coinvolgono diversi aspetti della vita adolescenziale.
Viste le scarse evidenze presenti fino ad oggi si invita ad implementare ancora la creazione di progetti preventivi e si suggeriscono qui di seguito possibili strategie su come tali programmi possono essere modificati per aumentare la loro efficacia:
- Focalizzare interventi per differenti livelli di sintomatologia
- Programmi educativi specifici rivolti agli insegnanti e il personale della scuola
- Programmi educativi specifici rivolti ai familiari
- Istituire gruppi di discussione con la partecipazione di vari professionisti esperti sul tema DCA ( medici, psicologi, infermieri)
- Rafforzare l’integrazione multi-professionale così da selezione le aree specifiche di intervento per ciascun professionista ed aumentare l’efficacia del progetto educativo
- Aumentare la consapevolezza e la capacità di riconoscimento dei Disturbi dell’Alimentazione nei medici di medicina generale e nei medici specialisti
- Aumentare le capacità di riconoscimento dei Disturbi dell’Alimentazione nella scuola e nella famiglia
- Migliorare la comunicazione tra le diverse istituzioni (famiglia-scuola-sanità) e facilitare la richiesta di aiuto ai primi sintomi
(*) Sara Fè - Infermiera presso Compartimento dei Disturbi Alimentari
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