Dopo la nota Fimeuc (Federazione medicina di emergenza e urgenza), Barbara Mangiacavalli (presidente Fnc Ipasvi) prende posizione: "Si dia il via alle nuove competenze infermieristiche per impedire ulteriori rappresaglie nei confronti di professionisti e pazienti".
ROMA. Dopo il caso di Bologna, con la sospensione da parte dell’Ordine dei medici dei suoi iscritti che hanno predisposto protocolli di intervento infermieristico nel 118, è necessaria una riflessione e va trovato il punto di sintesi tra la sicurezza del paziente e la legittimità dell’operato dei professionisti che a vario titolo sono chiamati ad intervenire in un ambito complesso e difficilmente incasellabile in un unico archetipo organizzativo come l’emergenza sanitaria da garantire fuori dalle rassicuranti mura di un ospedale.
Quindi “il governo cinico-assistenziale degli interventi deve trovare livelli di controllo che permettano di erogare efficacemente la miglior prestazione utile al paziente coinvolto”.
Un concetto espresso anche dagli ultimi, sintetici e diretti giudizi della Federazione Medicina di emergenza Urgenza (Fimeuc) che manifesta in una nota il “disagio che la categoria medica sta vivendo” dopo i fatti di Bologna “e non solo per rispetto di colleghi che hanno operato in scienza e coscienza”.
Un intervento, quello della Fimeuc, che dà gli spunti necessari non solo per essere condiviso, ma per ribadire un’idea, un modello e una posizione che ormai da tempo è propria degli infermieri e che avremmo preferito potesse entrare in porto serenamente e non come conseguenza di situazioni irrazionali e lontane dal concetto dell’assistenza.
Quella di Bologna è una decisione che secondo la Fimeuc ha “suscitato incredulità per un gesto punitivo ritenuto eccessivo e nello stesso tempo ha permesso di riaccendere l’attenzione su un argomento che fino a oggi aveva interessato solo pochi addetti ai lavori”.
Se l’attenzione si riaccende, allora deve illuminare la realtà dei fatti che, in questo caso, sono le scelte necessarie perché il paziente sia assistito nel minor tempo possibile, nel miglior modo possibile, con la massima appropriatezza clinica, ma anche organizzativa possibile perché la sua salute e la sua stessa vita nel caso specifico dell’emergenza siano tutelate e preservate.
La Fimeuc traccia il percorso logico da seguire dal punto di vista assistenziale e lo fa con la consapevolezza di chi sa di cosa parla perché vive la realtà dei fatti, quella di tutti i giorni.
La spiegazione dei medici dell’emergenza è semplice e realistica: “Va prevista una organizzazione tale per cui sia possibile la terapia "ponte" d' emergenza fino all' arrivo del medico, un approccio terapeutico condiviso col medico anche se non presente sul posto ma in contatto attraverso una rete di telemedicina avanzata e la presenza del medico in Centrale Operativa (CO) con comprovata esperienza nel settore dell’emergenza-urgenza e con specifiche funzioni di coordinamento e governo clinico, in collaborazione con le figure di coordinamento infermieristico. Tale presenza deve essere considerata indispensabile nell’ottica di CO di area vasta, aggregando diversi sottosistemi a valenza provinciale e trovandosi nei fatti a gestire risorse sovraprovinciali”.
Esattamente ciò che detta il protocollo di Bologna che è costato la sospensione – non certo per motivi deontologico professionali a quanto pare - ai responsabili del 118.
Esattamente ciò che diciamo e chiediamo da tempo: è ora di finirla di alimentare sacche di vetero-sindacalismo che utilizza armi improprie rispetto a un’assistenza che sembra non interessargli rispetto al tornaconto personale.
I medici e gli infermieri, quelli che vivono nella realtà di un’assistenza difficile sia per le scarse risorse che per gli organici ridotti e per l’aumentata tecnologia degli interventi, sanno che la via è quella di “un atto formale che sgomberi definitivamente ogni dubbio dal retropensiero di chi crede di poter contenere i costi trasformando gli operatori in surrogati di professionisti con competenze magari avanzate per formazione e protocolli ma che giuridicamente non sono contemplate dalla normativa vigente (vale per gli infermieri ma anche per i soccorritori)”, come scrive la Fimeuc.
Un atto formale che già c’è. Anzi, ce n’è più d’uno: si chiamano “competenze avanzate” con uno schema di accordo Stato-Regioni in stand by da anni, anche se approvato da tutti coloro che hanno un pensiero logico e trasparente, si chiama “comma 566” che ha dato l’imprimatur normativo a ciò che l’organizzazione del sistema già sta realizzando, ma soprattutto si chiama programmazione, concertazione e collaborazione, che noi, gli infermieri, chiediamo da tempo.
La Fimeuc “auspica che ministero e Regioni attivino presto i tavoli tecnici dove la questione possa essere definita al più presto in modo da ripristinare un clima più sereno dove tutti umilmente possano rivedere le proprie posizioni nell’interesse comune della collettività”.
Noi chiediamo formalmente a ministero e Regioni di sgombrare il campo da equivoci e fraintendimenti e soprattutto di spuntare le armi di chi tutto questo non vuole capirlo, danneggiando il sistema e gli stessi pazienti.
Gli infermieri da sempre chiedono la possibilità di concertazione. A quanto pare anche i medici la vogliono e sanno che la salute del paziente dipende da questa.
Serve “un clima più sereno dove tutti umilmente possano rivedere le proprie posizioni nell’interesse comune della collettività”, dice la Fimeuc. Noi lo chiediamo da tempo e siamo pronti a ribadirlo con forza e con ogni mezzo a nostra disposizione.
Per dirla con lo slogan che proprio gli infermieri di Bologna hanno lanciato: #noisiamopronti.
E speriamo che ormai, difronte a queste evidenze, difronte a questi fatti estremi sia dal punto di vista professionale che per il rischio in cui pongono la vita dei pazienti, lo siano anche gli altri.
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