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editoriale

Placebo e nocebo nella relazione di cura

di Marco Alaimo

Tra le competenze che non devono assolutamente mancare nel bagaglio del "buon Sanitario" ci deve essere la comunicazione. Ma è sempre bene comunicare tutto? Sono necessarie delle strategie comunicative per gli operatori sanitari? È veramente utile avere una buona comunicazione in sanità? Come si preparano i medici, gli infermieri e gli altri attori sanitari ad affrontare il malato nella sua complessità?

La comunicazione in sanità

Si parla tanto - e spesso a sproposito - di comunicazione sanitaria, ma alla fine ci accorgiamo che c’è molta improvvisazione, ovvero non esistono nei corsi di Laurea in infermieristica o in medicina, dei percorsi di approfondimento su questo tema. Forse troviamo qualche accenno nei vari master oppure nei seminari o negli aggiornamenti che il professionista vuole fare personalmente.

Alle volte la semplice informazione circa lo stato di salute di una persona deve essere ben ponderata, perché può succedere che dare notizie in maniera non adeguata possa creare effetti indesiderati; è proprio il caso di dire che comunicare male può nuocere alla salute.

Si parla di effetto Nocebo, un termine (contrario a quello di placebo) utilizzato per etichettare le reazioni negative o indesiderate che non sono quindi generate chimicamente, ma sono interamente dovute al pessimismo e/o alle aspettative negative riguardo agli effetti del falso farmaco. L'esistenza dell'effetto nocebo pone anche un problema riguardo ai modi in cui il medico o il sanitario adempie agli obblighi di informazione nei confronti del paziente.

Infatti sembrerebbe che aspettative negative sulla malattia, derivanti dalle spiegazioni di un clinico (medico, psicologo, infermiere, ecc.) rispetto a sintomi, effetti collaterali, progressione del disturbo e così via, possano contribuire significativamente alla comparsa o al peggioramento dei sintomi stessi.

Un placebo al contrario, insomma, che può avere effetti negativi sulla qualità della vita dei pazienti, sull'aderenza alla malattia e sull'efficacia del trattamento ricevuto.

Un interessante articolo pubblicato su JAMA (Colloca, 2012), spiega meglio il ruolo delle parole nella comunicazione clinico-paziente e i suoi effetti sulle nostre percezioni.

Per Nocebo si intende dunque la comparsa di un sintomo indotto dalle aspettative negative del paziente stesso e/o da suggerimenti negativi (involontari) dati dallo staff sanitario, in assenza di un quadro clinico di oggettivo peggioramento o di altro tipo di trattamento.

Pfingeston nel 2001 attraverso uno studio sperimentale suddivise alcuni pazienti affetti da dolore cronico in due gruppi: un primo sottogruppo venne informato che il test da eseguire avrebbe prodotto un certo livello di dolore, l'altro gruppo invece ricevette informazioni neutre sulla procedura. Come risultati si ottenne che il gruppo che era stato informato circa la possibilità di avere un qualche dolore o disturbo ha riportato un aumento significativo dell'intensità del dolore e una performance ridotta nella capacità di esecuzione del test.

I meccanismi psicologici sottostanti questo effetto sembrano essere l'apprendimento tramite condizionamento pavloviano (classico) e l'ansia anticipatoria generata dalle aspettative negative, proprie o indotte dalla comunicazione del clinico.

In condizioni di minaccia o di paura, come succede quando si ha una qualche malattia, le informazioni negative vengono assorbite in modo più rapido e preciso rispetto a quelle positive, quindi un'eccessiva quantità di informazioni solo negative può peggiorare significativamente lo stato d'ansia del paziente e far aumentare dunque anche i sintomi. Il dolore cronico è una delle condizioni cliniche in cui il nocebo si manifesta in modo più evidente e costituisce spesso il meccanismo di base responsabile della cronicizzazione del dolore stesso.

Dire o non dire, questo è il dilemma

Un problema anche di valenza etica e morale oltre che professionale. I nostri malati e i loro care-giver hanno il diritto ad essere informati e la privacy con tutte le leggi che sottostanno tutelano e proteggono il cittadino circa la necessità di essere informati sui dati sensibili.

Cosa evitare nella comunicazione in sanità

Possiamo però prendere qualche spunto e suggerimento su alcune modalità comunicative da evitare almeno secondo Hauser (2012) come ad esempio:

  • negare il sintomo (non si preoccupi, sanguinerà solo un po');
  • espressioni troppo scientifiche o gergali (durante la tomografia faremo delle scansioni e il suo organo sarà tagliato in piccole fettine e poi analizzato);
  • frasi che causano incertezza (il trattamento potrebbe funzionare, stiamo a vedere; proviamo questo farmaco; speriamo che questo antibiotico funzioni);
  • enfatizzare aspetti negativi (se non vuole diventare paralizzato, deve assolutamente evitare di sollevare oggetti pesanti).

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