Quando la norma contrattuale, pur se esercitata nei termini e nei modi legittimi, contrasta con la norma penale.
ROMA. È giunta in questi giorni presso il nostro ufficio di Roma, la richiesta di una nostra iscritta, dipendente di una struttura privata accreditata con il SSN, madre di due figli minori di 3 e 5 anni, che è spesso costretta a prolungare il suo orario di servizio obbligata dal dirigente infermieristico della struttura per la quale lavora, impedendogli così, di poter riprendere i figli da scuola e portarli poi a casa.
La vicenda è di alcuni giorni fa, dove un’Infermiera in H24 con il turno quel giorno dalle 07.00-14.00, si è vista chiedere (come spesso accadeva) di prolungare il proprio turno di servizio dal dirigente Infermieristico, ed effettuare anche il turno successivo 14.00-21.00 per sopraggiunte necessità organizzative.
La collega, avendo i due figli minori a scuola, ha manifestato preoccupata al dirigente la difficoltà a cui sarebbe andata incontro se non avesse potuto andare a riprendere i propri figli entro le 14.30 essendo solo lei l’unica a poterli prelevare.
Ha chiesto quindi la cortesia di poter smontare, dovendo per forza di cose recuperare i propri figli di lì a poco.
Il dirigente di tutta risposta, nega alla dipendente la possibilità di lasciare il servizio e gli intima che se si rifiuta, sarà costretto a mettere il tutto per iscritto attraverso la redazione di un ordine di servizio, al quale, la dipendente, non avrebbe potuto dire di no, pena una sanzione disciplinare molto pesante.
L’infermiera disperata, insiste nel non voler ottemperare alle richieste, al che, il dirigente mette per iscritto la sua richiesta obbligandola di fatto, a rimanere in servizio.
Si scatena il panico, i figli sarebbero usciti da scuola alle 14.30 e non avrebbero trovato la propria madre ad attenderli e lei non sa come fare, presa dalla disperazione chiede una consulenza telefonica all’AADI, gli viene risposto che purtroppo onde evitare di incorrere in una sanzione disciplinare grave deve ottemperare, ma può di contro, onde evitare di essere denunciata per abbandono di minore, avvisare il 112 o il 113 spiegando l’accaduto e chiedendo di provvedere a recuperare i figli per lei, essendo obbligata a rimanere in servizio contro la propria volontà.
L’infermiera, sollevata dalla risposta esauriente, avvisa il 113, la pattuglia, compresa la situazione, in modo molto professionale e decisamente meritevole si reca presso la scuola dei figli dell’infermiera e li preleva con il consenso della stessa, accompagnandoli poi sul posto di lavoro dalla madre.
A seguito di ciò però, l’infermiera, amareggiata e arrabbiata dalla non curanza del dirigente, sporge formale denuncia querela contro il dirigente infermieristico e la pattuglia, raccogliendo la denuncia della signora, denuncia a sua volta a piede libero il dirigente infermieristico che aveva redatto l’ordine di servizio, reo di aver commesso il reato di procurato allarme e sequestro di persona.
Il dirigente in questione a seguito della denuncia è stato sospeso dalle funzioni per un periodo di 10 gg lavorativi.
Profili giuridici:
Invero è che l’ordine di servizio, se debitamente compilato, è un istituto previsto dalla normativa contrattuale sia pubblica che privata, oltre che dalla legge.
Nel CCNL è disciplinato dall’art. 28 comparto sanità 10.09.1995: (doveri del dipendente), paragrafo h, recita: “Eseguire le disposizioni inerenti all’espletamento delle proprie funzioni o mansioni che gli siano impartiti dai superiori. Se ritiene che la disposizione sia palesemente illegittima, il dipendente è tenuto a farne immediata e motivata contestazione a chi l’ha impartita, dichiarandone le ragioni; se la disposizione è rinnovata per iscritto ha il dovere di darvi esecuzione, salvo che la disposizione stessa sia vietata dalla legge penale o costituisca illecito amministrativo”.
E all’art. 30 del CCNL 1998-2001: “Il lavoratore, in relazione alle particolari esigenze dell'assistenza sanitaria, deve improntare il proprio comportamento al rispetto e alla comprensione dell'assistito, ispirandosi ai principi della solidarietà umana e subordinando ogni propria azione alla consapevole necessità e responsabilità della sua assistenza. Il lavoratore deve rispettare l'impostazione e la fisionomia propria della struttura ove opera e attenersi alle disposizioni impartite dall'Amministrazione secondo la struttura organizzativa interna in cui opera e osservare in modo corretto i propri doveri. È fatto divieto al lavoratore di prestare la propria attività al di fuori delle strutture di appartenenza anche in caso di sospensione cautelativa. La prestazione di lavoro a carattere continuativo esplicata al di fuori del rapporto di lavoro, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale, costituisce giustificato motivo per la risoluzione del rapporto di lavoro”.
D.P.R. n. 3 del gennaio 1957 all’art. 17 che così recita: “L'impiegato, al quale, dal proprio superiore, venga impartito un ordine che egli ritenga palesemente illegittimo, deve farne rimostranza allo stesso superiore, dichiarandone le ragioni. Se l'ordine è rinnovato per iscritto, l'impiegato ha il dovere di darvi esecuzione. L'impiegato non deve comunque eseguire l'ordine del superiore quando l'atto sia vietato dalla legge penale”.
D.lgs. 165/2001 all’art. 5, che così recita: (…) le determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti la gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.
Nell’analizzare la fattispecie, premesso che, l’ordine di servizio fosse stato redatto secondo i criteri di correttezza e fosse rispettoso della norma di riferimento, l’infermiera, per evitare di complicare ulteriormente la sua posizione, aveva solo due opzioni che poteva sfruttare a proprio vantaggio e in via di autotutela e che tra l’altro sono quelle suggerite e prospettate dall’ AADI:
1) Consisteva nel non ottemperare all’ordine di servizio, informando il dirigente che sarebbe comunque smontata al termine del suo orario di lavoro per non incorrere nel rischio di commettere il reato di abbandono di minore e/o incapace ai sensi dell’art. 591 del codice penale che così recita: “Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Alla stessa pena soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro. La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte. Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore (540), dal figlio, dal tutore (346) o dal coniuge, ovvero dall'adottaneo o dall'adottato (291). Avrebbe quindi violato la norma contrattuale e disciplinare consapevolmente, subendo probabilmente un addebito disciplinare, ma nel contempo, avrebbe evitato una denuncia penale dai risvolti ben più gravi. Tuttavia, il codice penale all’art. 51 “Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”, stabilisce che, “l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità. Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine. Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire a un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine”.
Poteva quindi ottemperarvi a rischio della denuncia per abbandono, ma avrebbe potuto a sua discolpa in sede di udienza, anteporre le scriminanti derivanti dallo stato di necessità o di forza maggiore di cui agli artt. 54 e 45 del c.p., nel tentativo di mitigare la propria posizione processuale.
Ipotesi percorribile, ma certamente molto più articolata e più onerosa.
2) Nella seconda ipotesi, che è poi quella scelta dalla nostra assistita, su suggerimento dell’AADI, avrebbe dovuto ottemperare all’ordine impartito dal superiore gerarchico e quindi rimanere in servizio fino alle 21.00, ma nel contempo contattare nell’immediato il 113 o il 112, informandoli della situazione e chiedendo loro vista l’impossibilità di poter recuperare i propri figli, di supplire alla sua mancanza andando presso la scuola a prelevarli.
All’arrivo della pattuglia, dimostrata l’impossibilità di potersi allontanare dal posto di lavoro, avrebbe dovuto poi, sporgere regolare denuncia contro il dirigente colpevole della sua assenza, nel tentativo di ottenere giustizia.
La questione, come già annunciato, ha avuto il seguito che conosciamo, ossia la denuncia a piede libero del dirigente infermieristico per il reato di procurato allarme e di sequestro di persona, con l’irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per giorni 10, la non punibilità per il reato di abbandono di minore dell’infermiera, rea solo di aver obbedito ad un ordine superiore impartito legittimamente e la fine di una serie di ordini di servizio che contrastano con i canoni ermeneutici di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 del C.C. oltre che con la norma penale.
Con la speranza che nell’eventualità si ripresenti un caso simile, l’infermiere sappia come comportarsi.
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