Nurse24.it
chiedi informazioni

dentro la professione

Modello per compiti, vale a dire: giri...giri...e solo giri!

di Nadia Boasi

giroterapia

Sembra quasi di ruotare come delle trottole tra pazienti, parenti, medici e altre figure sanitarie accondiscendendo le richieste di tutti, ma frammentando il lavoro.

“Buongiorno, io sono la figlia del paziente al letto 6 e vorrei sapere da Lei se la lesione da pressione che mio papà ha sul sacro sta migliorando, lei sa dirmi qualcosa visto che mi hanno detto che è la referente infermieristica per quest’area?

Buongiorno signora, è vero sono io la referente dell’area, ma oggi faccio solo il giro terapia…quindi della lesione di suo padre non so dirle molto…se attende le chiamo l’infermiere che se ne è direttamente occupato…”

È possibile che nel 2015 il lavoro degli infermieri sia ancora strutturato per compiti? quindi basato sui GIRI??

Ebbene sì..è possibile, gli infermieri sono esperti di giri, infatti la nostra routine lavorativa passa dal giro parametri (previo giro temperature), giro prelievi, giro terapia, giro letti, giro col medico, giro consegne e tanti altri giri…

Sembra quasi di ruotare come delle trottole tra pazienti, parenti, medici e altre figure sanitarie accondiscendendo le richieste di tutti, ma frammentando il lavoro, quindi senza garantire continuità al percorso del paziente e quindi non assicurandogli un’elevata qualità assistenziale.

Questo assunto porta alla riflessione su due problemi:

  • Come si può pretendere di garantire ed assicurare un’assistenza centrata sulla risoluzione dei bisogni del paziente che abbia come finalità una presa di cura olistica con il metodo per compiti?
  • Come si può raggiungere una maggiore gratificazione, crescita, miglioramento della professione infermieristica con questo metodo di lavoro?


Attraverso il lavoro per compiti o “giri”, le attività sono ben definite, chiare e ripetitive ma allo stesso tempo l’infermiere diviene un semplice esecutore, quindi il professionista è come se fosse denigrato nella sua stessa professione e nel rispetto di tutto il percorso di studi da lui effettuato, senza pensare al fatto che tutto questo naturalmente andrà anche ad incidere sulla qualità assistenziale percepita dal paziente e dai suoi familiari.

Al contrario questa metodologia di lavoro risulta ottimale per le organizzazioni sanitarie che ritengono il lavoro per compiti la modalità migliore da implementare nei reparti, in quanto permette di raggiungere la massima efficienza con il minor numero di risorse, visto che il lavoro è ripetitivo e quindi facilmente standardizzabile e dove ogni componente del gruppo lavorativo è interscambiabile l’uno con l’altro, sempre secondo l’organizzazione questo modello è ottimale soprattutto nei momenti in cui prevale la logica di ridurre il numero di infermieri o comunque di lavorare con quelli a disposizione senza incrementarne la quantità (purtroppo a discapito della qualità).

Ma è realmente attendibile quest’ultima affermazione? Forse la catena di montaggio consequenziale al lavoro per compiti non è così efficiente come potrebbe sembrare, infatti durante le attività lavorative molto spesso l’infermiere si ritrova ad eseguire una serie di compiti che non gli competono direttamente ma dovrebbero essere svolti dagli operatori socio sanitari (e questo di per sé causa un grave dispendio economico) ed inoltre questa metodologia crea una frammentazione del lavoro che diviene responsabile di un rallentamento generale e di uno stato confusionale che sembra poi richiedere un maggior numero di unità nel turno; ma che in realtà non sarebbero necessarie.

Naturalmente attraverso piccoli accorgimenti anche il lavoro per giri potrebbe dare risultati migliori, basterebbe pensare ad un’implementazione della comunicazione tra i vari professionisti, per esempio creando un momento durante ogni turno di lavoro esclusivamente dedicato alla realizzazione di un “briefing” cioè ad uno scambio di informazioni in merito ai dati raccolti e alle attività eseguite durante la giornata.

Questa soluzione è certamente opportuna rispetto al primo problema posto nei precedenti paragrafi, ma al contrario se si continua a lavorare per compiti il secondo quesito non potrà mai trovare soluzione, in quanto questo modello non permetterà mai il raggiungimento di crescita, gratificazione e miglioramento della professione.

All’università ci insegnano i modelli organizzativi dell’assistenza e la loro normale evoluzione nel tempo e nello spazio, che dovrebbe seguire in primis il continuo progresso della professione e in parallelo anche l’avanzamento delle organizzazioni sanitarie.

Il mio intento non è quello di descrivere i vari modelli organizzativi in quanto non credo che questa sia la sede giusta, ma è quella di stimolare la realizzazione di un cambiamento che preveda la possibilità di diventare totalmente responsabili di un paziente al fine di garantirgli una presa in carico olistica, dove il nostro obiettivo primario diventa quello di conoscere il paziente dalla testa ai piedi e non in modo frammentato sulla base delle sole attività che svolgiamo.

Purtroppo quest’articolo non può dare una soluzione a tutte le strutture sanitarie, in quanto ogni organizzazione deve fare riferimento ad un proprio budget, vincoli e anche limiti imposti dagli alti livelli dirigenziali; ma se tra gli obiettivi ci si pone quello di far progredire la professione, si può trovare un compromesso attraverso la modulazione della turnistica di lavoro, che prevede una modifica del numero di infermieri presenti in ogni turno, che a loro volta si dovranno prendere carico in toto di un numero ridotto di pazienti (massimo 8-10) supportati però da un maggior numero di operatori socio sanitari che affiancano l’infermiere sgravandolo dalle attività più semplici e standardizzate.

Tutto questo per evitare l’appiattimento e lo sconforto tipico di chi conosce e possiede le competenze e che vuole dare il massimo ma che alla fine resta sempre al punto di partenza.

Scopri i master in convenzione

Commento (0)