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Mikal Haile: infermieri in Inghilterra? Tutto un altro mondo...

di Angelo

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LONDRA. 5 domande a due Infermiere Italiane emigrate in Inghilterra non tanto per cercare lavoro e speranza, quanto per emanciparsi e darsi delle migliorie professionali. Si tratta di Mikal Haile, riminese di origini eritree, e di Marika Costa, leccese laureatasi a Rimini.

Tutte e due hanno concluso gli studi nel novembre del 2013 e non sono state accolte nel mondo lavorativo italiano, così hanno deciso di “approfittare” della “chiamata” inglese e di mettere da parte amori e onori e partire per quella che è diventata la “Terra Promessa” per molti colleghi.

A loro, accomunate da una Laurea in Infermieristica presso l’Università degli Studi di Bologna - Sede di Rimini e Cesena e dalla passione per le lingue e per le esperienze internazionali, abbiamo posto le stesse 5 domande. Vediamo assieme quali sono e cosa ci hanno risposto...

Ieri abbiamo ascoltato Marika Costa, oggi vediamo cosa ci dice Mika Haile.

Dopo la laurea in Infermieristica è stata dura trovarsi di fronte al muro della disoccupazione in un campo, quello degli Infermieri, che fino a qualche anno fa era in difetto di operatori, tant’è che l’Italia si rivolse a stati esteri quali Argentina, Romania, Polonia e Spagna per avere forza lavoro e occupare i posti vacanti. Dove hai trovato il coraggio di fare la valigia e di tentare la soluzione inglese?

Per me più che di coraggio alla fine si è trattato della realizzazione di un progetto che avevo in mente prima ancora di iniziare il mio percorso di studi. Sono già stata in Inghilterra 4-5 anni fa per una decina di mesi con l’intenzione di studiare lì, ma poi viste le difficoltà burocratiche e i tempi lunghi (in realtà era pure nostalgia di casa... ) decisi di tornare in Italia con la promessa di laurearmi e tornare in terra Britannica o comunque all’estero. La mancanza del lavoro e la crisi son stati solo un incentivo in più, tant’è che non ho voluto nemmeno perdere tempo a provare dei concorsi che non mi avrebbero portata da nessuna parte e mi sono invece subito mossa per emigrare.

Quali differenze assistenziali e professionali hai notato tra la tua esperienza italiana di tirocinio e quella inglese di lavoro?

Domandona! Purtroppo non è tantissimo che sono qui, perciò il mio giudizio probabilmente non sarà supportato da tesi solide quanto piuttosto da percezioni personali. Ho letto quello che ha scritto la mia collega Marika Costa e posso confermare che in effetti qui c’è una maggiore attenzione e rispetto del paziente… resta solo da capire se è un’attenzione e un rispetto sinceri o solo secondari alla loro cultura del buon viso a cattivo gioco, che comunque non impedisce commenti sgraditi e poco rispettosi nei loro confronti durante le consegne tra colleghi. D’altro canto è veramente poca anche la tolleranza dei colleghi verso atteggiamenti insofferenti dei pazienti che io sinceramente reputo poca sensibilità: personalmente se un paziente sofferente mi risponde in tono brusco non ne faccio una tragedia e cerco di capire… i miei colleghi no. Inoltre non so se è solo nell'ospedale dove lavoro o in tutta l’Inghilterra in generale, ma ci sarebbero diverse contraddizioni da sottolineare: qui per esempio dire che sono fissati per la prevenzione delle infezioni è dire poco; eppure tutti noi andiamo a lavorare con la divisa già indossata a casa e che ci laviamo noi da soli nella nostra lavatrice; per non parlare che con la divisa indossata poi prendi i mezzi pubblici… Un altro particolare è il vitto ospedaliero: patate lesse e riso in bianco? No signori! Qui si nutre i pazienti con patatine fritte, burro in tutte le salse e ovviamente col dessert di gelato o pudding inglese… non fa differenza che tu sia diabetico o ipercolesterolemico! E potrei andare avanti con altri esempi!

 

Cosa ti senti di suggerire ai colleghi italiani che vogliono emigrare in Inghilterra?

Credo che ogni esperienza sia a sé stante; potrebbero trovare il paese dei loro sogni e la realizzazione di ambizioni oppure scontrarsi con una realtà non proprio idilliaca come molti la descrivono. Dal canto mio posso dire che mi ero preparata al peggio e che quindi non ci son rimasta male per molte incongruenze che ho trovato. Non è facile, non per me almeno che ancora combatto con la barriera linguistica e con la distaccata cordialità dei colleghi, ma ancora sono convinta della mia scelta! Come dice Marika bisogna essere aperti e adattarsi a una cultura differente.

 

In quale reparto lavori e di cosa ti occupi?

Lavoro in un ospedale pubblico nel reparto di Medicina d’Urgenza. Come prima esperienza da neolaureata e per di più all’estero, diciamo che non è facile. Qui la priorità è la burocrazia come lo sta diventando anche in Italia d’altronde. Quindi quando arriva il paziente compiliamo un plico enorme di fogli con disparate domande per il paziente che partono dai dettagli generali come inidirizzo e numero di telefono, al quante volte va in bagno. Poi per tutto ciò che è cannulazione della vena, cateterizzazione, gestione del sondino, delle infusione intravenose ecc. ecc. devi avere dei certificati che ottieni con corsi di mezza giornata. I loro tirocini sono diversi dai nostri e si occupano prettamente di burocrazia… devono aspettare di laurearsi e avere un lavoro per fare tutto quello che io credo ci renda infermieri. Ah e se non riescono a prendere la vena, chiamano il dottore (?!).

 

Come sei stata accolta al tuo arrivo in terra inglese?

Mah, tutto sommato bene! Io e altri colleghi che son partiti con me alla volta dello stesso ospedale, abbiamo riscontrato un po’ di disorganizzazione, ma voglio dire: quando sei stato tutta la vita in Italia, non ti disturba nemmeno più tanto! A parte quello per il resto devo dire che proprio l’organizzazione ospedaliera cerca di essere vicina ai bisogni dei dipendenti e di seguirli, perciò per ogni dubbio o domanda che tu hai, c’è sicuramente un ente di riferimento. La loro filosofia è quella del “se ci prendiamo cura dei nostri dipendenti e rendiamo loro un personale felice, essi stessi forniranno un’assistenza di qualità ai pazienti” ( Non ci riescono eh, visto le mille lamentele che ho già sentito in 2 mesi e mezzo in reparto, ma almeno ci provano!

 

FINE SECONDA PARTE

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