All’inizio non si persero d’animo, soprattutto lei che non aveva paura di vedere cosa avrebbe riservato loro il futuro; ma quando con il passare degli anni quel coinquilino iniziò a divenire sempre più insopportabile lui decise di iniziare a lottare per ottenere la libertà.
Perché come lui stesso definiva, “ciò che gli era rimasto non era più vita ma solo un insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche”.
Ad entrambi erano state negate tutte quelle piccole cose che rendevano preziosa la quotidianità e donava dignità al loro essere umani.
Per lui vita era la “la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso o la passeggiata notturna con un amico” e da quando lui ne fu privato decise che era giunto il momento di non proseguire più. Lei lo assecondò e lo accompagnò in quello che definì il suo ultimo gesto d’amore.
Non fu facile dato che vennero trattati alla stregua di due criminali soltanto perché colpevoli di reclamare il diritto alla libertà di scelta.
Quando lessi la loro storia, due giovani innamorati che iniziarono il loro cammino convivendo con un ospite scomodo dal nome Distrofia Muscolare, decisi di impegnarmi a non dimenticare tali battaglie, sostenute con dignità ed estrema dedizione.
Perché sì, la morte è una prospettiva terribile, ma una vita senza la possibilità di esser definita tale lo è ancor di più. Io sono con voi e come voi, follemente innamorata della vita.
Come Piero il “Calibano” e come Mina.
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