Vivere quotidianamente contesti di malattia e di cura ci mette in contatto con le voci dei nostri assistiti, dei loro disagi. Ascoltiamo parole, che sono traduzioni dei loro sentimenti. Ma se a parlare fosse il corpo? O, meglio, se a scrivere un diario su ciò che gli accade fosse il corpo? Se un corpo non si limitasse a comunicare attraverso segni e sintomi, ma provasse a mettere nero su bianco tutta la sua fisicità? In questo consiste l’esperimento di Daniel Pennac, riuscitissimo.
Se un corpo non si limitasse a comunicare
Tornata a casa dopo il funerale del padre – si legge in quarta di copertina – Lison si vede consegnare un pacco, un regalo post-mortem del defunto genitore: è un curioso diario del corpo che lui ha tenuto dall’età di dodici anni fino agli ultimi giorni della sua vita.
Sovvertendo tutte le regole del romanzo tradizionale, quello con una trama guidata da una logica, da una consequenzialità utile al dispiegamento dell’intreccio e sovvertendo anche tutte le regole del diario inteso come raccolta di emozioni legate ad eventi particolari della vita, Daniel Pennac compie un vero e proprio capolavoro d’originalità.
Con il suo inconfondibile taglio brillante, in ”Storia di un corpo” ci accompagna dalla pubertà alla vecchiaia di un uomo che, giunto al termine dell’esistenza, si sente come “una moneta che finisce di ruotare su sé stessa”; lo fa passando attraverso pulsioni sessuali, umori, sudori, bisogni fisiologici e malattie, senza nascondere nulla, con un linguaggio crudo, sempre al limite fra l’ironia e un realismo pungolante.
In queste pagine ci offre un punto di vista diverso, il punto di vista del corpo; quel corpo di cui l’infermiere, ogni giorno, si prende cura. Quel corpo che cambia di ora in ora, che incappa in fibrillazioni d’amore o in dissenterie da chemioterapici. Quel corpo che è sempre indissolubilmente rapportato con la mente.
”Nell’educazione ci insegnano così: le secrezioni sono ripugnanti. Ma è una convenzione. La vera rivoluzione è quella delle puzze e delle secrezioni, che andrebbero accettate come oggettive, non come qualcosa da rifiutare!” (Daniel Pennac)
Ecco che al centro dell’attenzione sono posti gli stati del corpo che, se ci si pensa un istante, sono quelli che in fin dei conti fanno la differenza nel quotidiano della vita. E l’infermiere lo sa bene, lo vede e lo tocca con mano, su di sé e sugli altri.
Un colpo davvero geniale, quello di Pennac. Con un libro del genere, accantonando parole nobili o concetti altisonanti, porta la nostra attenzione su un fattore che spesso diamo per scontato: ascoltare le sensazioni che il corpo prova in ogni circostanza, significa ricordarsi d’esistere.
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