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Lavoro nero: difendere se stessi

di Serena Romagnoli

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REDAZIONE. Come ogni classe lavorativa che si rispetti, anche la professione Infermieristica non risulta essere esente dalla caratteristica pratica di lavoro con elusione dei diritti fiscali, il classico “lavoro in nero”.

Punture, flebo, clisteri, chi più ne ha più ne metta, effettuati a domicilio senza fattura, senza assicurazione, senza sicurezza.

 

Con prezzi anche più alti della media il più delle volte, perché il rischio di essere scoperti è alto, e non importa la condizione del paziente perché i soldi son soldi e bisogna guadagnare per vivere.

 

Non è importare la dichiarazione o fattura della prestazione effettuata perché tanto “tutti fanno così”, non è necessaria l’assicurazione, che copre gli eventuali  danni professionali fatti e/o subiti, non serve a niente l’iscrizione all’ENPAPI (l’ente di riferimento per gli infermieri libero professionisti) perché tanto costa troppo e non ci si fa nulla.

 

Una puntura e via, senza pensieri!

 

Esatto, senza pensieri, quelli che si accavallano nella mente di chi è onesto, e paga tutti i contributi, tutte le tasse, tutte le iscrizioni, magari anche il commercialista se non si è proprio ferrati in economia o forse perché già pieni di responsabilità e una ogni tanto la si cede volentieri.

 

E passi se a farlo questo ragionamento sia uno studente in corso di formazione o un neolaureato smanioso di esercitare tutto quanto insegnatogli nei tre lunghi anni di università, che nella maggior parte dei casi non conoscono l’ENPAPI , figurarsi se sanno dell’esistenza di quest’altro mondo, o il disoccupato od il precario che non riescono ad andare avanti i quali, anche solo per mantenere la praticità nell’esecuzione professionale, ricorrono a questa scorciatoia. 

 

Ma sono i professionisti che hanno anni ed anni di esperienza, che hanno lavoro, che hanno conosciuto tutti i lati della professione infermieristica, che hanno partecipato a mille conferenze anche sull’argomento, a rendere ancora di più gravosa questa condizione.

 

Viviamo questa situazione come niente fosse, vediamo ma non guardiamo, tutti i giorni senza darne il giusto peso. Ma per quei professionisti che esercitano in sicurezza questa pratica risulta dannosissima. Perché si impegnano, si applicano a seguire le regole,  sono onesti.

 

Perché quando vedono che le loro scelte di eseguire la loro professione al meglio, per se stessi e per i pazienti, vengono infangate dai loro stessi colleghi ed anche dai medici, farmacisti, professionisti del settore che consigliano nomi senza conoscere, senza valutare le abilità e la correttezza, si sentono un po’ morire. Scegliere di essere nel giusto non è da tutti, non è facile e nemmeno semplice.

 

Ecco, io mi metto in questa categoria. Sfiduciata dal sistema che offre tanto ma in realtà non da niente, se non solo illusioni, sono diventata libero professionista.

 

Perché sento di avere molto da offrire, amo il mio lavoro e non riesco ad aspettare che arrivi il mio turno nei reparti.

 

E sono delusa che chi ha un posto in un azienda, pubblica o privata non faccio distinzioni, vada in giro per prestazioni domiciliari senza avere un briciolo di serietà , non perché non sia bravo nel suo mestiere ma perché offre servizi senza garanzia, e nemmeno un briciolo di rispetto per chi si è rimboccato le maniche e prova a farsi spazio nel mondo.

 

Sono sfiduciata dal fatto che nemmeno i medici se ne preoccupano, tanto il loro lavoro finisce con la firma della ricetta o delle dimissioni. Sono delusa che fin’ora abbia trovato solo pochi centri medici e farmacie che accettano i biglietti da visita dei professionisti esclusivamente in regola con le normative, e che siano affidabili. 

 

Sono allibita che la maggior parte dei colleghi arrivano a fine turno lamentandosi del troppo lavoro, troppe ore, troppo movimento, per poi riprendere tutte le penne e fare il giro delle punture-flebo-medicazioni a domicilio. Sono amareggiata che tutto questo succeda ogni giorno che passi!

 

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