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L’infermiere tra carcere ed emarginazione durante il Covid-19

di Redazione

Durante questo periodo di pandemia, qualche volta è spuntata la parola "Carcere". Se ne parla molto poco rispetto al carico di lavoro dei colleghi al loro interno, probabilmente perché ritenuta non così importante rispetto all'attuale emergenza sanitaria di oggi, e rispetto a tutto il resto, di ieri. La popolazione che vive la quotidianità nelle carceri italiane non è rimasta immune al virus Covid-19, e questo riguarda ovviamente ogni figura al suo interno, perché spesso ci si dimentica che una grande varietà di figure vive e lavora all'interno dei penitenziari. Detenuti, agenti penitenziari, medici, educatori, psicologi, insegnanti, dentisti, oss, volontari, amministrativi, ognuno, nel suo piccolo, porta il suo contributo in questa parte di società considerata spesso come di "Serie B", anche per i professionisti che vi operano.

L’infermiere come punto di riferimento per detenuti ed emarginati

L'infermiere è diventato un punto di riferimento per i detenuti, durante la pandemia

Gli infermieri si sono trovati a dover affrontare una situazione per cui nessuna formazione li aveva preparati, e dove la paura avrebbe potuto far desistere. In carcere non ci sono spazi adeguati per i distanziamenti, non vi è spesso un adeguato ricircolo di aria, non è facilmente raggiungibile con le telecomunicazioni. I detenuti non possono cambiare una mascherina al giorno e le situazioni di disagio fisico e sociale che li rappresentano, storie che di per sé sono già emotivamente molto drammatiche sono state esasperate: paure, timori, isolamento ancora maggiore. Quarantene in locali angusti, colloqui con familiari annullati. Gli infermieri hanno dovuto, e ancora oggi devono, far fronte a una iper richiesta di persone che hanno bisogno di rassicurazioni, di assistenza, che hanno contratto il Covid, che manifestano disturbi di ansia e panico.

In prima linea sempre loro, infermieri pronti a mettere in pratica la relazione d'aiuto, continuando a svolgere la loro routine assistenziale, nonostante i numeri dei professionisti sia insufficiente rispetto alla popolazione detenuta. La campagna vaccinale ha raggiunto ogni singolo detenuto o detenuta, il lavoro è stato complesso ma molto gratificante. Nei limiti del possibile ogni Servizio è stato adattato per rendere la situazione gestibile al meglio.

L’emarginazione all’interno e all’esterno del carcere

L'emarginazione all'interno del carcere prosegue purtroppo anche fuori, dove gli infermieri che si occupano di terzo settore in diversi contesti ritrovano gli stessi pazienti, magari con problemi di tossicodipendenza, che una volta usciti non hanno più accesso a grandi progetti o momenti di condivisione, in quanto l'emergenza Covid-19 impone una rigida restrizione di moltissime attività e iniziative che erano rivolte alle persone con disagi psichici, frequentatori di Sert e i senza fissa dimora. L'infermiere diventa così un "punto di riferimento" con poche armi ma grande professionalità e umanità, che mai come in questi periodi meriterebbe un grandissimo riconoscimento in ogni realtà dove svolge il suo lavoro.

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