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Laura, Dirigente delle Professioni Sanitarie: "la solitudine la noti all'imbrunire"

di Redazione

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Le considerazioni a caldo di una collega dirigente che si è messa in gioco provando la carriera lontano dalle sue origini e dalla sua famiglia. Triste verificare come l'esser soli ci logora dentro.

Carissimo Direttore,

ti ritrovi sola in una casa che non è la tua. Provi ad accendere la radio per vedere se riesci a riscaldare l'ambiente, a renderlo più affine al tuo modo di essere. La sera è calata e sai che sta per arrivare la resa dei conti.

Non vuoi ammetterlo neanche a te stessa, ma il buio ti penetra nelle ossa, l'inquietudine di ciò che sta per accadere ti costringe ad inventarti immediatamente qualcosa da fare.....una telefonata ad un amico lontano, una verifica della posta in arrivo, la lavatrice dei panni scuri, la spazzatura da gettare....
Poi però ti arrendi e i pensieri volano liberi verso il luogo nel quale vorresti trovarti, verso le persone che vorresti avere vicino, verso ciò che hai lasciato per inseguire un sogno.
Torni indietro nel tempo. Una vita passata sui libri per ottenere i requisiti necessari a rivestire il ruolo professionale che hai ottenuto, un impegno costante nella professione in cui credi, il turbinio di idee, ideali, relazioni e delusioni che ti hanno spinto ad investire su te stessa. Tutto ti frulla nella testa e una domanda insite nella tua mente confondendoti, turbandoti, rendendoti per qualche istante incline alla tristezza: era questo quello che ho inseguito per tanto tempo?
Sono un Dirigente delle Professioni Sanitarie.
Lavoro a trecento chilometri di distanza dalla mia città ed il venerdì pomeriggio, puntualmente, percorro la strada che mi separa dalla mia famiglia incurante delle condizioni meteo, del traffico e della stanchezza accumulata durante la settimana. Non posso rinunciarci. Non lo farò mai.
Il lunedì mattina all'alba, a volte anche prima se in agenda sono previste riunioni o appuntamenti importanti, riparto alla volta del mio domicilio professionale.
Il tempo sembra non bastare mai: riunioni, appuntamenti, emergenze da risolvere, progetti da presentare, discussioni di budget, trattative e negoziazioni, idee da sostenere e collaboratori da supportare. Durante il giorno non mi annoio di certo. Faccio esattamente quello che voglio fare e sono felice. Mi sento realizzata professionalmente. Sono consapevole di aver acquisito competenza negli anni ma di avere ancora tanto da apprendere. Mi alzo al mattino felice di poter contribuire a rendere la mia professione utile al sistema, utile all'Azienda per la quale lavoro, utile alle persone che lavorano con me.
Ma il giorno termina ed arriva la sera......
Ed eccola spuntare la solitudine. Non ho amici in questo luogo.Tante conoscenze, ma nessuna amicizia. Un po' per diffidenza, un po' per timore reverenziale,un po' perché considerata la forestiera senza un substrato sociale che mi leghi a questi luoghi e a queste persone. Mi rendo conto che agli occhi degli altri non posso essere altro che il ruolo che rivesto. E questa consapevolezza condiziona anche il mio essere al di fuori dell'ambiente di lavoro. Cerco di prestare attenzione a cosa pubblico sui social, evito di fare telefonate dopo un certo orario per non creare malintesi, vesto in maniera sobria, mi lascio andare difficilmente a considerazioni personali, socializzo solo con miei pari, non parlo mai della mia famiglia e della mia vita privata. Quando, sorseggiando un caffè, sola con i miei pensieri,tra le mura della mia nuova dimora, mi domando se ciò a cui sto rinunciando per poter svolgere la professione che amo, sul piatto della bilancia possa competere con ciò che ho raggiunto, gli occhi si appannano e una lacrima vorrebbe scendere a rigarmi il viso perché la risposta, dichiarata ad alta voce, consentirebbe a molta gente di esprimere un giudizio.
Amo la mia professione, la stessa professione che mi porta lontano dalla mia famiglia.
Sono combattutta, ma non posso confidarmi con nessuno. Sul luogo di lavoro verrebbe considerata una debolezza, a casa creerebbe la speranza di una rinuncia e quindi di un ritorno.
È vero, sono sola e questa solitudine mi tormenta ogni sera, ma il rimpianto di aver rinunciato alla possibilità di realizzarmi professionalmente mi avrebbe accompagnato ogni giorno.
Adesso ho un altro obiettivo prepararmi per le occasioni future che mi consentiranno di tornare a casa senza rinunciare a fare ciò che amo.

 

Laura, Dirigente delle Professioni Sanitarie e Infermiera esperta.

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