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testimonianze

Reinterpretare il ruolo dell'infermiere e del coordinatore

di Mimma Sternativo

Intervista al dott. Dario Laquintana, infermiere Dirigente SITRA della Fondazione IRCCS Ca Granda ospedale Maggiore policlinico di Milano dal 2008

MILANO. Il dott. Dario Laquintana è infermiere Dirigente SITRA della Fondazione IRCCS Ca Granda ospedale Maggiore policlinico di Milano dal 2008. Professore a contratto nel corso di laurea in infermieristica e corso di Laurea magistrale in scienze infermieristiche.

Intanto la ringrazio per aver accettato un'intervista per Nurse24.

Dirigenza delle professioni sanitarie

Dario Laquintana

Qualche anno fa in un'intervista rilasciata al corriere della sera parlava della grande mancanza d'infermieri (50.000) ad oggi la situazione sembra essersi rovesciata. Stime recenti dicono che vi sono 30.000 infermieri disoccupati. Cosa è cambiato in questi anni? Abbiamo realmente raggiunto un numero ideale di infermieri nelle U.O?

Non ci sono più soldi, è solo questa la differenza. Il fabbisogno di infermieri è determinato dalle condizioni degli utenti e nella nostra società ci sarà sempre più bisogno di infermieri, la popolazione è vecchia e quindi aumenta il bisogno di assistenza infermieristica, ma dobbiamo imparare a convivere con la cronicità per questo il ruolo fondamentale dell'infermiere non deve più essere quello di dare la terapia, ma rilevare i bisogni assistenziali e dare a questi risposte assistenziali per aiutarli nel loro contesto di vita.

Il sistema sanitario è, in termini economici, al collasso tanto da non essere più in grado di fornire gli stessi standard, in primis in termini di professionisti. Una soluzione sarebbe quella di ridurre il personale trasversalmente a tutte le U.O chiedendo a tutti qualcosa in più oppure chiudere dei reparti e di conseguenza ridurre la possibilità di ricovero degli utenti e quindi costringerli a ricorrere a strutture private o a pagamenti impropri per poter risolvere il loro bisogno di salute. Si rischia di ledere il diritto all'accesso al sistema sanitario.  

Altro rischio, da non dimenticare, non è quello di avere un sovraffollamento di pazienti in pronto soccorso?

Questo è un rischio che i grandi ospedali delle grandi città possono avere; nei piccoli centri non accade soprattutto perché il rapporto col medico di medicina generale è diverso, esiste una rete di rapporti sociali ed esiste ancora la rete di supporto familiare.

Nelle grandi città le persone trovano il punto di risposta al loro bisogno di salute nel pronto soccorso. Tutti si recano in pronto soccorso per qualsiasi cosa e tra l'altro conviene: costa meno, ti fanno tre visite specialistiche, gli esami, una tac e in sette ore fai tutto.
E infatti, secondo me, non è etico non far pagare le prestazioni sanitarie svolte in pronto soccorso.

Recentemente il ministro Lorenzin e l'assessore Mantovani hanno visitato il policlinico. Ci può raccontare le impressioni generali che hanno avuto visitando il nostro pronto soccorso? Quali impegni hanno assunto per cambiare la situazione? Cosa è cambiato?

Noi rispondiamo al bisogno degli utenti e non dei ministri. Non sono loro che possono dare delle risposte. È importante ed è un buon segno che chi riveste ruoli istituzionali abbia interesse a vedere in prima persona quelle che sono le difficoltà che incontrano gli operatori tutti i giorni. Io credo molto in questa cosa che quando si smette di ascoltare si smette di cercare di capire. Andare sul posto è una cosa che aiuta loro a prendere decisioni forse migliori e più orientate, ma concretamente - almeno adesso - non risolvono niente, non con queste visite. Servono a loro e può servire agli utenti per sapere che le istituzioni non sono lontane e sono attente a questo tipo di problematiche.

In Fondazione si è appena concluso il concorso a tempo indeterminato per 42 infermieri. È stato forse il primo "maxi concorso" in termini di numeri. Cosa è cambiato in termini organizzativi, ma anche selettivi rispetto a concorsi precedenti?

Ci sono state difficoltà organizzative gestionali non per il numero di persone, ma perché i concorsi così grandi richiedono così tanto tempo tanto da riuscire a fare una graduatoria solo a distanza di due anni dal bando. I problemi che noi stiamo vivendo rispetto alla selezione degli infermieri sono dati dalla distanza che si crea tra il momento della laurea e il momento dell'immissione in servizio, non lavorare si traduce in perdita delle competenze acquisite nel corso di Laurea. Verosimilmente nei prossimi mesi mi ritroverò ad inserire persone che si sono laureate due anni e mezzo fa, ma che non hanno esperienza e non sono stati a contatto con gli utenti.

Dovrò quindi chiedere agli infermieri che sono in servizio di reinsegnare il lavoro a queste persone. Questo è un danno per tutti, perché chiederò ancora di più a persone a cui ho già chiesto tanto con i doppi turni. I nuovi inseriti dovrebbero alleggerire il carico di lavoro non aggravarlo ulteriormente.
Stiamo cercando di predisporre un regolamento, una procedura che consenta ai professionisti sanitari di svolgere il loro lavoro in ospedale in termini di volontariato, quindi senza essere pagati, per lo meno per non perdere le competenze acquisite in attesa di avere un posto di lavoro. Sono gli stessi professionisti a chiederlo, perché sono i primi a rendersi conto che se passa così tanto tempo tra la laurea e l'immissione in servizio rischiano di perdere le loro conoscenze e quindi di arrivare poi ad un giudizio negativo nei primi mesi di prova di un'assunzione.
Ritengo, inoltre, che il livello di formazione professionale universitaria è molto più basso del precedente livello formativo. Le lauree triennali dovrebbero essere quelle professionalizzanti e annullare il tirocinio del primo anno e ridurre le ore di tirocinio sui tre anni credo sia stato un nostro grande errore su cui dovremmo riflettere e su cui la professione dovrebbe rivedersi.

Ma non pensa che il tirocinio del primo anno almeno per come era organizzato era ormai obsoleto? Tipo insegnare il rifacimento dei letti...

Gli studenti se devono imparare a dare risposte assistenziali agli utenti devono imparare a stare con gli utenti, non si può pensare di insegnarglielo con lavori di gruppo in classe.

Visti quindi i problemi della disoccupazione infermieristica, ritiene utile diminuire i posti per l'ammissione al corso di Laurea in infermieristica?

In realtà il numero degli ammessi al corso di laurea delle professioni sanitarie viene stabilito sulla base non del fabbisogno delle persone ma sulla base delle persone assenti nel Sistema sanitario regionale. Le regioni definiscono il numero degli ammessi facendo ad esempio il calcolo del turnover del personale sanitario. Nei prossimi anni forse diminuirà il numero degli ammessi, ma solo perché le leggi di riforma del sistema pensionistico hanno determinato il prolungamento del servizio professionale e dunque una riduzione del turnover. Il vero problema sarà tra qualche anno avere in servizio persone anziane che a loro volta avranno bisogno di prestazioni sanitarie e non saranno più in grado di assistere i malati.  

Il professor Veronesi qualche mese fa ha esortato gli aspiranti studenti di medicina a laurearsi prima in infermieristica. Cosa ne pensa?

No. Restano due professionisti diversi: uno cura la persona e l'altro la malattia. 

Anzi quello che noi come infermieri stiamo rischiando è la perdita di identità di specifico professionale. Il paradosso che sto vivendo negli ultimi anni è avere un gruppo professionale infermieristico sempre più attento ad aspetti tecnici della cura e un recupero, invece, da parte medica della cura della persona. Sempre più nei corsi di medicina si parla dell'utente al centro, del soddisfacimento dei bisogni, quasi ad appropriarsi del ruolo di Florence Nightingale. E paradossalmente noi che abbiamo sempre avuto come core della nostra professione l'attenzione alla persona e ai suoi bisogni rischiamo di perderci dietro gli aspetti più tecnici della cura della malattia. Io mi preoccupo che d'altra parte l'utente ormai conosca e veda di più l'OSS che l' infermiere, questo vuol dire che noi non sappiamo più fare il nostro lavoro.

Non sarà che l'infermiere ormai è soggetto a troppe richieste burocratiche e non, e ha poco tempo per fare davvero il proprio lavoro come dice lei?

No, no perché non è possibile non vedere nemmeno una volta un paziente che è stato operato e magari in quel reparto ne operano tre di pazienti.  

Alla luce del Decreto Balduzzi e dello stesso nuovo POA in una prospettiva futura cambierà qualcosa per quegli infermieri che hanno acquisito formazione post base e competenze specialistiche?

La possibilità di progressione di carriera nelle professioni sanitarie è oramai garantita da strumenti normativi e sempre più ospedali bandiscono concorsi dirigenziali. La sfortuna in questo periodo è che non ci sono deroghe ad assunzioni neanche per funzioni dirigenziali delle professioni sanitarie e quindi si ripresenta ancora una volta il rischio che la rivoluzione della professione sanitaria sia ancora una volta una rivoluzione incompiuta.

In questi anni è fiorito, dal punto di vista universitario, il Mercato dei Master che spesso non hanno determinato l'acquisizione di nuove competenze. È diventato solo un business che produce una serie di colleghi che solo avendo il titolo pensano di avere "maturato il diritto" a una nuova posizione lavorativa e ripeto senza averne le competenze.
Posizione che non c'è, perché per esempio la posizione di coordinamento, finché continuiamo a chiudere i reparti continueranno a diminuire.
Bisogna allora pensare a un ruolo diverso per i coordinatori, con più continuità nell'arco della giornata. Basta con il coordinatore di UO che costruisce un suo castello. I coordinatori devono diventare figure interscambiabili presenti almeno 6 giorni su 7, almeno 12 ore, che si danno le consegne, si cambiano i turni e che non hanno l'interesse solo nella gestione del personale e del materiale, ma nella comprensione dei problemi dei pazienti. Bisogna riscoprire il ruolo clinico del coordinatore perché se non ci focalizziamo sul paziente continueremo a sbagliare. Se noi pensiamo al modello di coordinatore, ancora oggi troppo presente che fa solo i turni e ordina il materiale quello è un modello vecchio e fallimentare.
I turni oramai li fanno i computer e il materiale viene ordinato in automatico. C'è bisogno quindi di un coordinatore che stia al fianco degli infermieri e sia possibilmente il più esperto, che capisca quali sono i loro problemi i loro bisogni formativi, e condurre lavori per migliorare la qualità di assistenza al paziente.

Crede che i suoi coordinatori siano capaci di adottare questo modello?

Ci sarà molta più selezione e dobbiamo crederci che possa essere un ruolo possibile, tutti ruoli di responsabilità anche quello di dirigente SITRA non saranno più assegnati a vita, ma a rotazione con una data d'inizio e una data di fine.

Ed è giusto che sia così.

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