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editoriale

Infermieri, chi ben comunica è a metà dell'opera

di Tania Buttiron Webber

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VOGHERA. È difficile dire cose difficili senza essere sbrigativi o fastidiosamente consolatori. È difficile essere davvero d’aiuto, dall’interno della professione infermieristica, evitando di usarla come una difesa per noi, invece che come uno strumento a favore dell’altro. Bene lo sanno gli infermieri che ogni giorno si trovano a dover relazionarsi con i pazienti e i loro famigliari e a comunicare con loro.

 

Comunicare (communis) significa “mettere in comune” con altri, informazioni, idee, emozioni, attraverso il linguaggio parlato e non, e comporta quindi un’interazione fra soggetti.

 

In questo momento di grande difficoltà, all’interno delle nostre realtà lavorative, una comunicazione efficace risulta uno strumento utile per sostenerci nel quotidiano. Sarà capitato a molti di noi di entrare in camere di degenza e trovarci di fronte pazienti/parenti diffidenti, prevenuti, “arrabbiati” con il sistema, che inevitabilmente si sfogano con l’infermiere di turno che funge da serbatoio di ansie, frustrazioni, rabbia e dolore.

 

Ricordiamo che la capacità di comunicare in modo efficace e di stabilire una relazione positiva e armonica con il paziente e con i famigliari è indispensabile per tutti i processi assistenziali e per il loro esito. La cura della comunicazione fra infermiere e paziente ha dimostrato produrre effetti positivi sia sullo stato dell’infermiere che su quello del paziente.

 

La comunicazione richiede tempo, componente che purtroppo sempre più spesso viene a mancare, a discapito dei nostri pazienti. Siamo ormai impegnati a fare i burocrati, a far funzionare pc e armadi informatizzati per la terapia, a rispondere al telefono.

 

Spesso si parla di comunicazione al paziente morente e al paziente oncologico, ma perché non parliamo di comunicazione al paziente vivente e ai suoi familiari?

 

Non potremo mai soddisfare i bisogni di tutti, ma l’abilità e lo sforzo nella comunicazione lasciano un marchio indelebile nei nostri pazienti, nelle loro famiglie e nei loro amici. Se comunichiamo male, forse non ci perdoneranno mai; se comunichiamo bene, forse non ci dimenticheranno più.

 

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