Vogliamo parlare di una realtà davvero sorprendente, unica e per certi versi affascinante. Un qualcosa che sembra davvero “strano” nel mondo dell’infermieristica, soprattutto negli studi di liberi professionisti o nel variegato mondo delle cooperative. Infatti questi colleghi si definiscono “Atipici tra gli infermieri”. Con gli anni sono riusciti a creare un qualcosa che io stesso ho definito “visionario”.
Abbiamo realizzato una intervista vis-à-vis con Stefano Chivetti presidente dello studio e Leonardo Boni vicepresidente, ma è stata una chiacchierata a più voci grazie anche alla presenza di Cristina Banchi e della Dott.sa Marcella Gostinelli nella sede dello studio “Auxilium”che si trova a Borgo San Lorenzo (Firenze).
Lo studio è autorizzato dal collegio IPASVI di Firenze in base alle norme per l’esercizio della libera professione in forma associata, inoltre è un centro di formazione IRC per BLSD.
Così atipici, così infermieri: consapevoli, complessi, complementari. Auxilium è uno studio associato atipico, perché è formato da infermieri liberi professionisti che svolgono una professione liberale utilizzando tutte le potenzialità che la professione offre, comprese competenze di interfaccia e non solo tecnicismo.
Questa è l’atipia, il poter promuovere programmi di policy, il poter collaborare all’analisi dei bisogni e dunque il poter superare certe aporie e molti genericismi del profilo professionale. Gli infermieri dello studio Auxilium offrono supporto alle aziende sanitarie, a organizzazioni pubbliche o private, oppure al singolo paziente in molte e variegate possibilità di collaborazione, secondo una nuova concezione dei servizi infermieristici che supera i tradizionali standard dell’esternalizzazione, per giungere all’affidamento, parziale o completo. Affidamento che richiede fiducia reciproca e che contempla l’affezione al servizio prestato e/o affidato.
Nasce nel luglio del 1995 ed è una squadra di professionisti con delle regole: correttezza, chiarezza, lealtà, aiuto reciproco e degli obiettivi: custodire la salute delle persone e promuovere la formazione di nuovi professionisti che condividano il loro modo atipico di essere infermieri. Loro hanno una “tranquilla passione”: vivere appieno la bellezza dell’aiuto e dell’assistenza, rivedere i significati di presenza, infermiere, malato, cura, servizio, ritrovare alle radici della professione i significati relazionali con il malato, riempire di significato l’Assistenza e la cura.
Brevemente, i servizi che offrono sono: Gestione e coordinamento dei servizi infermieristici e socio sanitari: RSA, case di cura, centri diurni, istituti penitenziari, soccorso nella cantieristica industriale di medie e grandi imprese, ambulatori infermieristici aziendali, punti di prelievi ematici, servizio di supporto della medicina del Lavoro; Centro di Formazione che si occupa, oltre che della formazione IRC per BLSD, anche di eventi di vario livello con formazione ad hoc e sulla consapevolezza del sé; attività domiciliare con il servizio infermieristico, gestione e coordinamento del servizio prelievi a domicilio, affidamento di servizi territoriali in continuità assistenziale su percorsi predefiniti.
1) Atipici tra gli infermieri, questo è il vostro biglietto da visita e già dal sito della vostra associazione si vede una mela un po’ atipica. Cosa volete comunicare? Perché Atipici?
Vogliamo comunicare un nuovo modo di essere infermieri, il concetto della atipicità è una “invenzione” che ha ideato Marcella, infatti in una telefonata ci spronò a essere un po’ diversi, e disse: "dovreste essere atipici". È un concetto un po’ provocatorio; l’infermiere oggi per ritrovare quello che davvero è, deve differenziarsi da ciò che crede di essere e che poi è ciò che i cittadini credono che l’infermiere sia “quello che fa le punture”, il tecnicismo non rappresenta più l’essenza infermieristica.
Vorremmo perciò scuotere gli infermieri che sembrano un po’ assopiti in una razionalità tecnica e in un agire il cui scopo è esterno a chi agisce, scopo medico, e indurli a vedersi all’opera in un fare che utilizza diversi saperi, diverse razionalità e che implichino dunque anche un certo grado di autonomia intellettuale, il cimentarsi con il fare piuttosto che con l’agire.
Possiamo dire che molto spesso gli infermieri non sanno più chi sono, sono inconsapevoli, poco lucidi, non sanno di poter osare per essere davvero quello che possono essere. Un nuovo modo “di essere infermiere". L’infermiere oggi non è quello che dovrebbe essere non è quello che la società civile vuole e non è quello che l’infermiere vorrebbe essere. Non vi è la percezione reale di quello che l’infermiere fa, ma soprattutto di quello che è. C’è un deficit anche nell’espressione, non ha la possibilità di esprimersi, ovvero nei contesti organizzati non ha la possibilità di esprimere il potenziale del proprio essere, della propria conoscenza, del proprio sapere. La conoscenza tacita infermieristica è l’unica conoscenza tra le discipline che non si chiede mai di conoscere.
La conoscenza tacita del medico è la medicina, la conoscenza tacita dell’infermiere oltre che dalla scienza infermieristica è fatta di intuizione, sensazioni, affezioni, sensi di inadeguatezza conseguenti alla capacità di comprendere e non comprendere i contesti di azione dell' attività lavorativa.
Gli infermieri potrebbero convertire questa conoscenza tacita in esplicita attraverso pubblicazioni, articoli, interviste, cose che loro stessi non fanno e che nessuno chiede loro di fare. È vero che siamo una professione intellettuale, ma solo nella norma e la norma non è diventata un’opportunità, anzi per i più al massimo può essere un limite.
Il prossimo anno saranno 20 anni che viviamo questa esperienza; vogliamo comunicare la nostra soddisfazione ai tanti giovani neolaureati che non trovano lavoro o che si ritrovano a lavorare in contesti con modelli inadeguati e quindi frustranti e dimostrare loro che con l’impegno e la ferma convinzione dell'opportunità di vivere con princìpi valoriali agiti si può arrivare a costruire qualcosa di importante. Noi ci abbiamo creduto, non è stato facile, ma la tenacia e la forza coesa del gruppo ci ha fatto crescere e ci ha dato semplicità, lucidità e fermezza.
2) Come siete nati e quali i principali scopi e aspettative?
Voi prima avete fatto un distinguo fra “l’avere visione o l’avere una prospettiva” e vi siete definiti dei visionari, ma cerchiamo di capire le differenze. La programmazione dei nostri servizi sanitari si basa su delle prospettive e le prospettive non hanno visioni, intuizioni e sono morte prima ancora di nascere proprio perché sono predefinite e preordinate. Non nascono dal fenomeno; invece essere visionari significa che vi è stata presenza e nella presenza intuizione, che è stata poi organizzata e resa pragmatica.
Per avere una visione serve prima un forte lavoro personale, e noi in questi anni abbiamo cercato attraverso percorsi personali di capire prima chi eravamo come esseri e poi come persone e infine come professionisti. L’avere visione significa avere uno sguardo ampio, mai limitato, significa lavorare in universi multipli, vivi, dinamici e produttivi.
Purtroppo l’infermiere è ancora sfruttato al limite di ogni decenza e fino a pochi anni fa entrare a lavorare nel pubblico rappresentava per l’infermiere una garanzia in termini di tutela anche professionale; si pensa che l’infermiere dal momento in cui diventa dipendente, sia tutelato, ma questo non è vero. Basti pensare a quello che è successo dopo la Legge Biagi, che ha autorizzato le società di lavoro interinale ad “affittare” i vari professionisti solo perché dietro vi era un rapporto di lavoro dipendente, il resto non è tutelato, con grande rischio per il lavoratore.
Per tornare al concetto iniziale “la visione nasce da una conoscenza tacita che deve diventare esplicita” la prospettiva nasce a tavolino ed è predefinita, non contempla la circostanza fenomenologica. I medici sono ancora a cercare il vero significato dell’atto medico, come se definire i contorni di una professione significasse avere una garanzia di cura. Ora è il momento per la professione di Rinascere partendo dalla nostra conoscenza specifica, spesso tacita.
3) Tutti i vostri servizi sono rivolti al benessere delle persone ma anche della professione, infatti leggiamo che vi occupate anche di formazione, come? Con quali altre professioni sanitarie collaborate?
Lo studio, dallo scorso aprile, si è trasformato in associazione professionale multidisciplinare: noi possiamo avere al nostro interno tutte le figure afferenti alle professioni sanitarie, attualmente abbiamo infermieri, fisioterapisti, geriatri, neurologi. Ad esempio stiamo perfezionando un servizio altamente specialistico per la cura delle lesioni dell’arto inferiore a varia eziologia; un bisogno in crescita che raramente trova vera competenza e professionalità.
Mettiamo in campo quindi le nostre competenze interne ed esterne (es: un medico). Non possiamo avere Oss come associati, in quanto non sono professioni sanitarie, ma comunque lavorano con noi proprio come dipendenti.
Per la formazione abbiamo prima di tutto valorizzato il capitale professionale dei nostri soci, molti di loro hanno fatto percorsi formativi anche importanti. Noi vogliamo creare un ambiente dove il professionista possa agire per quello per cui ha studiato e per cui si è speso.
In base ai bisogni dei soci si programma sia sulla parte tecnica (es: corsi BLSD) sia sulla parte più emozionale e si vuole formare il professionista anche sul concetto del “sapere di sé” che come detto prima è spesso dimenticato.
Noi siamo fermamente convinti che l’infermiere per essere un intellettuale deve essere prima di tutto libero, libero dai retaggi culturali, dai poteri relazionali e dovrebbe invece arricchire il potere personale interno per essere lucido, presente a se stesso e dunque consapevole.
Abbiamo servizi che si occupano della cantieristica o dei servizi industriali, ad esempio è presente un pool di infermieri che dal 1997 lavora in questo settore e ha elevatissime competenze specifiche in questo ambito; è l’unica esperienza italiana in cui è presente un équipe multidisciplinare che si sposta sull’evento critico in cantiere insieme ai vigili del fuoco.
Gestiamo la rete di soccorso all’interno dei vari cantieri delle grandi opere (TAV, lavori autostradali); qui c’è formazione continua e un training di alto livello.
Un’altra esperienza molto bella è quella relativa alla gestione del servizio infermieristico negli istituti penitenziari di Sollicciano (FI) e di Prato dove anche in questi ambiti la formazione degli infermieri per noi è essenziale.
Gli infermieri che lavorano negli istituti penitenziari, spesso sono dimenticati, sembra che non abbiano mai prodotto nulla e invece noi vorremmo realizzare un libro dove si narri di questa esperienza che il mondo non ha mai vissuto neanche indirettamente.
Stiamo anche monitorando un bilancio di competenze interne allo studio che ci permetterà di rilevare i bisogni formativi, che tengano conto non solo dei bisogni legati alla specialistica o al tecnicismo che ovviamente noi riconosciamo, ma anche legate alle aspettative, ai bisogni, ai desideri e alle frustrazioni vissute; tutte queste cose verranno poi analizzate e cercheremo una formazione specifica. Cercheremo anche di rispondere ai bisogni più interiori. Cerchiamo di mettere insieme la competenza certificata con la teoria in modo da avere una solido infermiere.
4) Una vostra visione globale del futuro infermieristico? delle nuove competenze, responsabilità.. etc siamo di fronte a una evoluzione oppure a un altro proclamo professionale senza ritorni sul campo?
Siamo di fronte a una vera e propria rivoluzione coerente con gli elementi fondativi della disciplina infermieristica. L’infermiere che lavora in questo studio non è colui che ambisce a fare cose che potrebbe fare il medico e che quindi le fa l’infermiere che costa meno e così si risparmia.
A noi interessa fare gli infermieri.
Dobbiamo capire che i tempi sono cambiati e anche il nostro nome dovrebbe essere cambiato perché l’infermiere è colui che assiste l’infermo; è in atto un grande mutamento culturale, sociale, politico e antropologico della figura del malato che da “paziente diventa esigente”, quindi da beneficiario (spesso obbediente e consenziente) diventa contraente cioè colui che usa ciò che la fiscalità o il reddito gli permette di comprare per contrattare le proprie condizioni di cura. Quindi è un malato che non subisce il sapere medico o infermieristico in maniera passiva e obbediente; oggi il malato vuole conoscere e vuole usare questa conoscenza per curarsi meglio. Prima occorre avere chiaro chi è l’infermiere e chi è il malato.
Dopo di che è bene avere un’organizzazione chiara e semplice, noi abbiamo scelto quella “Adhocratica”, per tanto ci sarà un sapere da cui apprenderemo, una tecnostruttura e un sapere che ci supporterà nei processi trasversali. Ogni processo deve essere conosciuto e chiaro, mappato e identificato. Su ogni processo ci sarà un infermiere referente che spenderà il proprio sapere nei vari livelli destrutturando di volta in volta la complessità che incontra sia nei processi che nelle persone.
Questa è evoluzione perché a partire dal neoassunto noi cerchiamo di capire il motivo profondo della propria scelta lavorativa, poi i processi e l’organizzazione tutta, dopo l’organizzazione ci saranno i prodotti, tra cui la collaborazione con l’esterno che ci permetterà di agire competenze di interfaccia e quindi politiche, di governo, magari anche con forme integrate con il SSN (questa è la nostra visione).
Nessun infermiere viene “mandato”, ma l’infermiere “propone”, come la normativa tra l’altro chiede.
5) mi parlate del progetto Infermiere di famiglia e l’affidamento dei servizi infermieristici ?
Gli studi associati possono gestire l’affidamento dei servizi sanitari ed è quello che noi facciamo in alcune strutture, affidandoci proprio (preferiamo questo termine piuttosto che appaltare, in quanto nell’affidamento è come se ci riappropriassimo del nostro lavoro perché l’affidamento esige fiducia in reciprocità) il servizio. Ad esempio gestiamo delle RSA con i nostri professionisti, ci occupiamo dal coordinamento del personale, di tutta l’organizzazione del servizio infermieristico, della fornitura del materiale sanitario, della gestione e smaltimento dei rifiuti speciali e di tutto quello che la normativa in materia di appalti di servizio prevede. Ad esempio possiamo prendere tutta la struttura o una parte di questa, un servizio, un processo di servizio e ci integriamo con la struttura al fine di garantire una continuità sia strategica sia assistenziale; certo è che in questi casi ciò che fa la differenza è l’aver presentato in contesto di gara un progetto che contiene anche elementi e indicatori di qualità assistenziale altrimenti diventa la vendita di una mera prestazione che può essere fatta anche in maniera non beneficiaria per il malato; purtroppo manca chi presieda queste progettualità in sede di gara perché altrimenti continueranno a vincere sempre quelli che giocano al ribasso sulle spalle degli infermieri.
Noi possiamo anche proporre il nostro progetto assistenziale in alcune realtà cercando di affiancarle, perché hanno delle criticità, proponendo alle stesse di trasferire il personale presso di noi per un certo periodo con dei contratti etici fatti con il sindacato; in questo caso l’azienda alleggerisce il costo fisso aziendale, mantiene il proprio personale di fiducia, garantisce la paga tredicesima al professionista.
Durante quel periodo la struttura ha la certezza, da un punto di vista di business plan, di riorganizzarsi e ripartire, e dopo un periodo di tempo prestabilito e concordato, quei dipendenti arrivati da noi come liberi professionisti possono ritornare nella struttura di origine rinnovata e più sana, a fare nuovamente i dipendenti. È un affiancamento del tipo “concorso del rischio di impresa” con il quale si propongono anche dei patti o contratti etici. Quello che ci preme è difendere sia il lavoro che il lavoratore, mentre alcuni sindacati si occupano solo del lavoratore; ma se non si protegge anche il lavoro decade la funzione stessa del sindacato.
Anche in questo credo che voi siate veramente visionari e atipici, davvero non ho mai incontrato Professionisti così completi.
Volete aggiungere qualcos’altro?
Sì, attraverso la vostra testata giornalistica, tutta infermieristica, confessiamo un sogno, un desiderio che speriamo si avveri presto: vorremo che qualche talk show ci invitasse a parlarne, chiediamo a Fazio oppure a qualche canale interessato di invitarci, di invitare qualche infermiere intellettuale che parli di politica, del servizio infermieristico oppure a Porta a Porta, Servizio Pubblico, facciamo l’invito anche alla Gabanelli di Report, vorremo parlare degli infermieri, della Sanità vista dagli infermieri. Noi creiamo qualità nella e per la salute e questo è importante.
Noi vogliamo essere felici anche nel nostro lavoro, vogliamo trasmettere questa felicità, ma soprattutto trasmettere il concetto che gli infermieri contano nel mondo e che i cittadini hanno delle aspettative su di noi; gli infermieri italiani spesso non sono consapevoli, non sanno di poter osare, l’infermiere deve diventare indipendente dalla struttura, dal medico, dal dirigente di turno cioè deve riuscire ad acquistare quelle libertà di pensiero che deriva dalla consapevolezza del proprio essere, la consapevolezza ontologica professionale che porterà all’autonomia e alla responsabilità professionale, anche al riconoscimento sociale. Noi siamo atipici tra gli infermieri e sicuramente come noi ce ne saranno altri che ogni giorno apprendono di essere davvero indispensabili al sistema.
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