Sembrano avere le ore contate i voucher, strumenti introdotti per regolarizzare e dare flessibilità ai rapporti di lavoro di natura occasionale, che per gli infermieri si sono presto rivelati un gioco delle tre carte, mascherando un lavoro da dipendenti senza diritti.
Infermiera a voucher indeterminato
È di poche ore fa la notizia del sì al referendum sui voucher arrivato da parte della Consulta, mentre il Pd è pronto a mettere mano ad una riforma che cambi presto le regole del gioco sulla questione dell’uso distorto di questi strumenti.
Sono davvero tanti gli infermieri che lavorano con quelli che Susanna Camusso, leader Cgil, ha chiamato strumenti malati
. Giulia, che ci ha scritto per raccontarci la sua storia, ne è un esempio.
"Ho letto dell’ipotesi di modificare i voucher come modalità di pagamento per evitare di assumere con un vero contratto gli infermieri e non ce l’ho fatta più. Mi sono detta che avrei dovuto scrivere qualcosa sulla mia storia, perché davvero questa pratica malsana non può più andare avanti.
Io lavoro come infermiera in una struttura privata che ospita pazienti anziani, autosufficienti e non. Si tratta di una struttura di bella apparenza, ma come spesso accade la fregatura è dietro l’angolo.
Appena laureata avevo voglia, tanta voglia di lavorare, oltre ad averne bisogno. Così ho iniziato a fare colloqui a destra e a manca. In giro, però, la situazione era davvero desolante.
Mi sono sentita praticamente ridere in faccia più di una volta e appena ci ripenso, mi sale una rabbia che non so nemmeno descrivere.
La cosa che più mi fa imbestialire, oggi come allora, è che tutti usavano la scusa del ti sei appena laureata, non hai esperienza
per rimbalzarti o per proporti rapporti di lavoro a dir poco imbarazzanti.
Ora, dico io, come fa un infermiere neolaureato a fare esperienza se nessuno lo assume, perché esperienza non ne ha?! È proprio un qualcosa che non riuscirò mai a spiegarmi. Così come non riesco a spiegarmi perché l’Università non riesca a far passare fuori dalle sue mura il fatto che gli anni di tirocinio clinico sono a tutti gli effetti degli anni di esperienza sul campo.
Quando mi sono presentata al colloquio per la struttura nella quale attualmente lavoro ero piena di speranze. Sono durate giusto il tempo di togliermi la giacca e di accomodarmi sulla sedia, giusto il tempo di sentire la parola “voucher”.
O così o niente – mi dissero – non hai esperienza, perciò se ti facciamo lavorare è già tanto
Credo che gli occhi mi si siano iniettati di sangue. Ci sono rimasta così male, che mi sembra ancora di sentire il ronzìo nelle orecchie. Per qualche secondo mi sono proprio assentata.
Il fatto è che quella era già la quinta struttura che mi proponeva i voucher. La parola “contratto” proprio sembrava un tabù. Ora rido (amarissimamente) per non piangere quando penso che, alla fine della fiera, quella che ho accettato e quella nella quale lavoro ancora oggi, era la realtà con il male minore.
Nella giungla dei voucher, almeno qui mi pagano regolarmente. Una miseria, ma mi pagano. Ogni tanto mi vergogno anche ad andare in tabaccheria con quei fogli che sembrano uno scontrino della spesa per riceverne poi dei soldi.
Per carità, ripeto. Almeno mi pagano. Ma quanto è avvilente a 25 anni? Quanto è avvilente, dopo anni di studi e una sudata laurea, trovarsi in coda per cambiare i voucher con un cameriere stagionale o con un ragazzo che arrotonda la paghetta raccogliendo mele?
Con tutto il rispetto che ho per i camerieri e per i giovani liceali intraprendenti. Però non è possibile, c’è qualcosa di veramente distorto in tutto questo.
La nostra è una professione. Io, come infermiera, lavoro con la vita delle persone, ho sulle spalle una responsabilità che la gente là fuori nemmeno si sogna di immaginare.
Tra tutti quelli che mi si sono prospettati, ho scelto il male minore lavorando per questa struttura; so di colleghi che spesso devono penare per ottenere anche quegli stracci di voucher che gli spettano.
Almeno a me pagano puntuali. Una miseria, ma puntuali.
Sto aspettando gli esiti di 3 o 4 concorsi pubblici che nel frattempo ho fatto. Intanto faccio quasi la fame e spero sempre di non ammalarmi o che non mi capiti qualche intoppo che mi potrebbe allontanare dai turni, perché di lavorare ho proprio bisogno.
Ma così non è lavorare. Così è essere presi per il collo. Così è essere veramente sviliti. E non ce lo meritiamo. Noi lavoriamo per gli altri. Non ci meritiamo tutto questo".
Giulia, Infermiera
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