Lei è un'infermiera pediatrica, siciliana e con una grande forza di emergere. Tanti sacrifici per una giovane ragazza che nonostante abbia provato in ogni modo a trovare uno spiraglio di luce per esercitare la sua professione, si ritrova a distanza di anni dalla laurea a lavorare da barista in un locale di provincia.
MESSINA. Lei è una Infermiera Pediatrica, siciliana e con una grande forza di emergere. Tanti sacrifici per una giovane ragazza che nonostante abbia provato in ogni modo di cercare uno spiraglio di luce per esercitare la sua professione, si ritrova a distanza di anni dalla laurea a lavorare da barista in un locale di provincia. Una storia che Tania ha voluto raccontare a Nurse24.it, ma che vuole anche denunciare la condizione della nuova generazione di laureati in Italia. Sarà colpa della stasi occupazionale italiana, ma se Tania fosse nata in un altra nazione europea, avrebbe già un lavoro all'altezza dei suoi sogni.
Ecco il suo racconto:
Giorno dopo giorno mi accorgo di vivere in un paese che non ha fatto altro che spezzarmi le ali distruggendo i miei sogni più profondi. Ed è questo di cui voglio parlare. Di un'idea di vita cresciuta con me, che pensavo si potesse concretizzare una volta raggiunta la tanto ambita laurea ed invece si è ribaltata portandomi qui, a vivere un sogno infranto.
Ho 25 anni, provengo da una umile famiglia siciliana, dove mamma lavora per uno stipendio minimo e papà, pensionato, riceve come si può ben immaginare un misero contributo mensile. "Voglio lavorare con i bambini" - ho detto ai miei genitori dopo il diploma - "Voglio essere d'aiuto per chi ha bisogno". Loro, sin da subito, hanno mostrato felicità riguardo la mia decisione, ma allo stesso tempo erano scettici, dato che i test d'ammissione al corso di laurea erano complessi ed il numero dei posti ridotto.
Ma da ostinata feci in modo che credessero in me. L'estate del 2010 non vidi mare, amici, svaghi dedicandomi unicamente a studiare, studiare e studiare. E fu così che a settembre le soddisfazioni (apparenti) arrivarono ed entrai al Cdl in infermieristica pediatrica collocandomi tra i primi posti. Ebbe così inizio il mio percorso universitario. Vissi i 3 anni più belli della mia vita ed all'età di 20 anni mi ritrovai ad affrontare esperienze che difficilmente i miei coetanei avrebbero saputo gestire. Misi il cuore in ogni ora di sonno persa, in ogni esame dato, in ogni turno di tirocinio svolto, in ogni pianto consolato ed in ogni sorriso condiviso, in ogni letto rifatto, in ogni pannolino cambiato ed in ogni vomito pulito.
"Lo Giuro!" - dissi con voce ferma ed orgogliosa il giorno che mi laureai con il mio ambito 110 e lode, davanti agli occhi lucidi di mamma e papà che con i loro risparmi mi avevano permesso tutto questo. Misi tutta me stessa in ogni esperienza bella o brutta vissuta, tanto che i 3 anni previsti volarono ed a novembre del 2013 il massimo dei voti al momento della laurea venne raggiunto. Ma la gioia di un nuovo inizio si trasformò presto in un calvario. Il calvario di volere, ma non potere, mantenere la promessa da me fatta.
Iniziai subito a spostarmi dalla Sicilia anche per un semplice avviso a tempo determinato, invano ovviamente, poiché i pochi posti venivano occupati da chi avesse anche un minimo di esperienza. Decisi allora, a pochi mesi dalla laurea, di iniziare una frequenza volontaria presso un policlinico universitario. Non potevo rimaner ferma, avevo bisogno di mettere in pratica le conoscenze acquisite durante il mio percorso universitario, avevo bisogno di fare assistenza. Stipulai così a mie spese un contratto assicurativo ed iniziai a fare l' "Infermiera Pediatrica Volontaria".
Per 5 mesi alternando la frequenza ad umili lavoretti riuscì a migliorarmi a livello pratico, professionale ed emotivo. Mi sentivo bene. Mi sentivo quello che realmente volevo essere "L'infermiera dei Bambini". Per problemi economici, non ebbi modo di portare avanti questa esperienza, e per non pesare ancora sulle spalle già piegate dei miei genitori, dovetti necessariamente interrompere la frequenza volontaria per cercare un lavoro "non mio", un lavoro che mi ha aiutata e mi aiuta ancora, ma che non mi appartiene.
Ed è così che da più di un anno mi ritrovo dietro al bancone di un bar, a svolgere un lavoro diverso da quello che sogno, ma che pratico con lo stesso amore perché è lo stesso che mi permette di aggiornarmi, che mi permette di partecipare a quei pochi concorsi, per quei pochi posti di Infermiera pediatrica che vengono banditi, che mi permette di comprare i libri per prepararmi e che mi permette di affrontare quei 3 o più viaggi che vengono predisposti in un bando di concorso per espletare le prove scritte, pratiche e orali.
Ancora adesso nonostante i sacrifici fatti e che continuo a fare non mi reputo una reale soddisfazione per i miei genitori. Non mi sento a pieno fiera di me, perché, anche se non per mio volere, non ho mantenuto quel fatidico giuramento fatto in quell'importante giorno di novembre. E adesso vorrei solo che mi venga data la possibilità di lavorare. Non voglio un posto regalato, voglio meritarmi ogni cosa, come ho sempre fatto del resto. Ma pretendo che la mia professione venga riconosciuta come tale, come tutte le altre professioni. Pretendo che vengano istituite delle leggi che definiscano i limiti tra infermieri ed infermieri pediatrici. Pretendo, per il bene dei miei futuri figli e per il bene di tutti i neonati, infanti, bambini e adolescenti, che la loro assistenza venga affidata a mani competenti e specialistiche. Pretendo che per ogni reparto Pediatrico vengano banditi concorsi per infermieri pediatrici e non per infermieri, solo per comodità delle strutture sanitarie.
Vorrei immaginarmi un futuro migliore, vorrei poter indossare la mia bella divisa, timbrare il mio cartellino ed arrivare sorridente in reparto. Vorrei poter scambiare le consegne con i colleghi del cambio turno, poter preparare la terapia e dedicare del tempo a consolare un triste genitore. Vorrei tornare a sentire il primo pianto di un neonato in sala parto ed i capricci di un bambino che rifiuta di fare l'aerosol. Chiedo solo di poter svolgere il lavoro per cui mi sono preparata tanto. Perché ci credo, perché non desidero altro, perché l'ho giurato.
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