PISTOIA. Mi ricordo ancora oggi i primi giorni del mio tirocinio professionale. Tante domande, novità nuovi posti, luci e colori, odori, emozioni e tanto...tanto da imparare. Il confronto con un mondo nuovo tutto particolare, l’Ospedale, un mondo dentro un mondo che ti può o non piacere. Non c’è niente da fare… il mio fù amore a prima vista! Tanti sono i ricordi accumulati da allora. Questo che sto per raccontarvi è un episodio che mi ha portato a profonde riflessioni.
Una mattina mi imbatto in una discussione in cui erano presenti alcuni infermieri, chirurghi e altri specialisti che parlavano di alcune procedure e discutevano di un caso particolare. Io in silenzio ascoltavo poi ad un certo punto uno si gira verso di me e mi dice : “ricordati bene il paziente è il tuo peggior nemico". Rimango in silenzio, finisco la mattina di tirocinio, e quella frase rimane impressa dentro la mia mente. Rimane per lungo tempo senza una risposta e una elaborazione.
Proprio in questi giorni mi è tornata alla mente quella piccola frase, buttata li senza motivo apparente da un professionista che da molti più anni di me lavorava a contatto con le persone e quel mondo cosi bello e terribile. Ora attende una spiegazione o almeno un pò di attenzione.
Mi sono chiesto: che significato ha quella frase? da cosa scaturiva? cosa c’era dietro il vissuto di quella persona?? poteva essere il malato il mio peggior nemico? oppure era il mio miglior alleato? Come posso lavorare e passare gran parte della mia vita a contatto con dei pazienti che possono essere dei miei nemici?
Anch’io con gli anni ho elaborato i diversi modi comunicativi e le relazioni che possono esserci tra il mondo sanitario e quello dei malati. Mai avevo pensato al malato come un “nemico”. Provo a fare una serie di riflessioni sperando di leggere anche le vostre nei giorni a seguire.
Alcune chiavi di lettura possono essere date alla luce di processi psicologici. Si legge che tra le fasi di un probabile burnout vi è quella della"frustrazione" dove il soggetto avverte sentimenti di inutilità, inadeguatezza e insoddisfazione uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato. Spesso tende a mettere in atto comportamenti di fuga dall'ambiente lavorativo, ed eventualmente atteggiamenti aggressivi verso gli altri o verso se stesso. Se ritengo il paziente un mio nemico sto attento e cerco di difendermi da eventuali attacchi nei mie confronti. In realtà non sono molto pratico nella cosiddetta “arte della guerra” ma ho sentito di nemici che si alleano perchè hanno come scopo finale la condivisione di un obiettivo da raggiungere.
Potrebbe essere questa una delle possibili risposte alla domanda? Forse si. Delle volte mettiamo in atto strategie difensive ovvero dei meccanismi di difesa. Strumenti che tendono a difenderci da aspetti “traumatici, conflittuali” interni (fantasie, emozioni, etc) e/o esterni (persone, oggetti, situazioni, etc). Il più delle volte ciò avviene in maniera involontaria senza nemmeno che ce ne accorgiamo, per cercare di sopravvivere e non farsi troppo male. Quindi possiamo vedere operatori che attuano degli evitamenti (magari non totali, ma cercano di limitare il contatto con i pazienti, dando solo risposte secche o staccate) oppure si può identificare il malato, concentrarsi sulla causa della sua malattia evitando coinvolgimenti personali.
Forse non tutti avranno esplicitato chiaramente questo pensiero, ma sono sicuro che internamente molti operatori sanitari, dirigenti e tecnici di ogni ramo e grado almeno ogni tanto hanno avuto la sensazione di essere in un campo di battaglia, dove la sopravvivenza non era garantita. Sembrano forse solo pensieri astratti ma in realtà il vissuto di ognuno di noi si ripercuote in maniera più o meno diretta sul nostro operato e quindi sugli assistiti. Spesso ci portiamo dietro alcune problematiche irrisolte che possono influenzare anche la nostra vita personale e familiare. Come già detto, molte delle nostre ore le passiamo a lavoro e con i malati. La domanda a questo punto è: meglio avere dei nemici oppure degli amici da gestire?
Un altro aspetto che meriterebbe la nostra attenzione è l’alleanza con i parenti e/o caregiver, spesso vissuti come un peso da evitare. Non bisogna trascurare che la loro presenza può diventare una preziosa risorsa e una fonte di aiuto nella gestione del paziente. In toscana la maggior parte degli ospedali (in particolare le rianimazioni e sub intensive) sono a “porte aperte”. Ovviamente serve una regolamentazione del flusso dei parenti per garantire la privacy e il buon svolgimento dell’attività assistenziale.
Non è facile e sarebbe illusorio dare una risposta esaustiva ad una domanda tanto difficile. Sicuramente in alcuni ospedali e/o cliniche vengono fatti mensilmente delle riunioni con alcuni psicologi o infermieri esperti in dinamiche lavorative fonte di stress. Considerando le poche risorse disponibili noi possiamo almeno fermarci un attimo e chiederci a che punto siamo con noi stessi e con i nostri malati. Come li consideriamo? Abbiamo dei margini di buona relazione con loro? Quali strategie mettiamo in atto per una sopravvivenza ottimale? Al di là degli anni di servizio, degli studi fatti, della personale disponibilità, queste riflessioni potrebbero essere un buon punto di partenza per vincere la battaglia del benessere proprio e dei malati da noi gestiti.
Commento (0)
Devi fare il login per lasciare un commento. Non sei iscritto ?