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editoriale

Il nostro non è un paese per vecchi

di Carlo Leardi

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MATERA. A quanto pare quello che sembrava essere solo il titolo di un film, sta diventando sempre più una triste realtà per coloro i quali non sono più giovani, o meglio per coloro i quali non sono più considerati giovani. Già, perchè la fatidica età dei 35 anni, coincide spesso con un muro contro il quale tanti ragazzi e ragazze sono costretti a scontrarsi.

Non staremo qui a polemizzare su proposte di leggeche cercherebbero di dare un futuro a giovani disoccupati, qualunque esse siano; le polemiche sono sempre inutili e prive di ogni costruttività, specie se fatte tramite i social network, in cui è spesso facile fraintendere o travisare quanto il proprio interlocutore sostiene.

 

Sarebbe solo utile riflettere su come e quanto i governi che si sono succeduti fino ad oggi, abbiano fatto ben poco per i giovani, salvo urlare ai quattro venti i soliti slogan a favore delle giovani generazioni, slogan che già allora sapevano di aria fritta e che oggi hanno lo stesso sapore di allora.

 

Nel frattempo i giovani di allora sono cresciuti, quelli che un tempo erano rampanti 25enni si ritrovano, ahimè, ad essere oggi "vecchi" (per le politiche sul lavoro) 35enni che non vedevano un futuro dieci anni or sono e che continuano ad ignorare cosa sarà di loro.

 

La vicenda ricorderebbe quella tristemente nota degli esodati, troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per andare in pensione. "Lavoro ai giovani", "Dare ai giovani un futuro" ecc... sono rimasti i soliti slogan da perenne campagna elettorale, e poco importa se a pronunciarli sia un politico di destra, di centro o di sinistra: le bugie hanno da sempre le gambe corte, qualunque sia la fonte da cui esse provengano.

 

Sarebbe più opportuno che la politica ed i promotori di tali vetusti ed inutili slogan facciano un "mea culpa" magari approfittandone per spiegare a chi ora paga lo scotto di scelte fatte (o meglio non fatte) da una classe dirigente che ha sempre continuato ad avere il classico "prosciutto sugli occhi".

 

Creare oggi, quasi a voler rimediare alla meno peggio, nel classico stile della politica italiana, corsie preferenziali per i giovani disoccupati sotto una determinata fascia di età, dimenticandosi di quelle migliaia di ragazzi che la loro gioventù l'hanno spesa studiando, specializzandosi, sottoponendosi ai più disparati tipi di contratti e...aspettando che i governi mantenessero le loro promesse, significherebbe di fatto ammazzare le poche speranze residue di coloro i quali hanno fatto tutto ciò che era loro possibile per garantirsi un futuro dignitoso salvo scontrasi poi con l'immobilismo di una politica troppo lontana e poco propensa a mantenere la parola data.

 

Nella speranza di riuscire un giorno a realizzarsi, troppi ragazzi e troppe ragazze si trovano ora difronte al nulla, un nulla che fa davvero paura e contro cui non si può combattere, poiché non c'è rimedio allo scorrere inesorabile del tempo. Non servono risposte in tipico stile politichesepoiché troppe ce ne sono già state, e non serve fomentare guerre tra poveri: la disoccupazione, il precariato ed altri "mostri" simili, fanno paura a qualsiasi età.

 

Hanno già preso in giro ed ammazzato anni or sono  le speranze dei giovani: la speranza è che altri non seguano l'esempio di chi ci ha portati a vivere in un vero e proprio incubo.

 

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