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editoriale

Il camice bianco e quella distorta percezione sociale della professione sanitaria infermieristica.

di Emiliano Boi

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LA SPEZIA. La professione sanitaria infermieristica italiana continua a subire i danni di una "incompleta rivoluzione culturale" e stenta ad affermarsi quale professione autonoma probabilmente a causa di una evoluzione accademica che non ha tenuto conto della necessità di intervenire sulla "percezione sociale" del cambiamento. 

 

Da tempo in molti si domandano come mai l'infermiere sia l'unica professione sanitaria a non indossare il camice bianco. Qualcuno potrebbe asserire che porsi una domanda del genere non possa essere utile alla risoluzione di annosi e cronici problemi della professione infermieristica italiana.

 

Personalmente, forse per il fatto che indosso altresì un'altra divisa, quella militare, credo che approfondire tematiche quali quelle relative all'impiego di divise ed uniformi sia fondamentale per comprendere alcune dinamiche apparentemente senza senso ma straordinariamente motivate nei rapporti con l'utenza esterna e nei rapporti interprofessionali.

 

Se da una parte e' noto il detto che "l'abito non fa il monaco" dall'altra non si capisce come mai gli Infermieri non indossino il camice alla stregua delle restanti professioni sanitarie. Lo stesso vale per gli Infermieri coordinatori, costretti ad indossare camici "bi-color", talvolta dotati di inserti di stoffa colorata che consentano di distinguerli indiscutibilmente dal personale medico di "bianco vestito".

 

Non spetta di certo a me mettere in luce le evidenze scientifiche che avvalorano il ruolo del camice bianco nei rapporti tra personale sanitario e utenza assistita, mi domando come mai non sia la stessa Federazione Nazionale IPASVI a fare una ricerca del genere.

 

Recentemente, la Ministra Kyenge, dottoressa in medicina, ha denunciato che a causa del colore della sua pelle e' stata scambiata per una infermiera, quasi come se il medico, oltre a dover indossare un camice bianco debba pure avere caratteristiche fenotipiche differenti dal personale infermieristico.

 

Le dichiarazioni della Ministra, verosimilmente poco calibrate, sono apparse quale funambolico "scivolone" istituzionale. Personalmente non ho alcun dubbio: a Lei deve essere riconosciuto il merito di aver messo in evidenza, con clamore, uno dei principali problemi infermieristici, ovvero quello della distorta percezione sociale ed interprofessionale della professione infermieristica. Continuo a domandarmi quando la Federazione Nazionale IPASVI intenda occuparsene.

Infermiere

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