Fra poche ore saremo a Barcellona, Io e Lucia, alla cerimonia inaugurale del Congresso dell’International Council of Nurses. Lungo la strada, per arrivare all’aeroporto di Bologna, pasticciamo con un paio di uscite in tangenziale e ci ritroviamo a girare attorno alla città.
26 maggio, la partenza per Barcellona al Congresso dell’International Council of Nurses
Costeggiamo un paio di ospedali famosi: il Sant’Orsola Malpighi e il Carlo Alberto Pizzardi, brevemente conosciuto come l’Ospedale Maggiore. Vediamo anche le indicazioni per il Bellaria e per il Rizzoli. Nomi che ci conducono, quasi in un viaggio di avvicinamento alle giornate catalane, attraverso la storia degli ospedali italiani. Ricordano la nascita dei grandi ospedali già in epoca tardo medioevale, quando i piccoli ambulatori sanitari, posti in locali di fortuna, con pochi letti disponibili vennero riunificati in strutture meglio organizzate e per questo denominate maggiori. Non c’è centro provinciale italiano che non abbia un suo Ospedale Maggiore, a ricordare il passo avanti nell’organizzazione delle cure sanitarie. Il Bellaria e il Rizzoli rimandano invece, nel bene e nel male, alla categorizzazione clinica che a un certo punto la sanità si diede: ospedali per tubercolotici (Bellaria), per ortopedici (Rizzoli), e così via fra sifilocomi, pellagrocomi, manicomi, e le tante Villa Maria dell’assistenza alla maternità.
Una razionalizzazione delle cure che portò buoni risultati per l’assistenza e la clinica, ma spesso anche a una spersonalizzazione di coloro che venivano curati. È l’istituzione totale di cui parla il sociologo Erving Goffman già dagli anni ’60 con il suo libro “Asylum”, che vede un mondo dentro a un altro mondo, in cui la popolazione viene rigidamente divisa in due: ospiti (i pazienti) e staff (i curanti). La vita dei primi e lo scandire del tempo, i ritmi, il vitto, il sonno ecc… determinati e condizionati dai secondi. E la dimensione ospedaliera ogni giorno ricorda questo ruolo stretto fra l’assistenza e la sorveglianza. Non per nulla un’opera di un altro sociologo – storico e filosofo – Michel Foucault, si intitola “Sorvegliare è punire”, prendendo per esempio carceri e manicomi costruiti a raggiera. Pensieri forti in prossimità di un evento internazionale come il Congresso di Barcellona, ma che giustamente predispongono alla riflessione sul proprio ruolo, sulla propria identità di infermiere, spesso messa in discussione, schiacciata, infettata essa stessa dalla spersonalizzazione della fabbrica della salute e dal rischio di burnout che incombono dietro l’angolo.
L’Aeroporto Guglielmo Marconi alla fine si presenta ai nostri occhi e anche se nelle sue strutture ricorda i “non luoghi” di cui l’antropologo Marc Augè parla in relazione a quei pezzi di società spersonalizzanti, come appunto aeroporti, stazioni, stadi e … ospedali, il tocco nostrano dei negozi – varcate le porte del terminal - della cucina tipica italiana, romagnola ed emiliana ci riconciliano con il mondo e ci conducono ai passaggi obbligati del check-in.
Stiamo per lasciare Bologna, che quasi ci ha rapito per un attimo, persi fra i suoi viali, per farci pensare sulla nostra condizione di infermieri, volgendo lo sguardo al passato, ai momenti più duri della professione, ma ridandoci un segno di speranza con la sua essenza urbana che non ci parla solo di cucina, ma anche della conoscenza, Bologna la dotta, con la sua università più antica di Europa, e l’infermieristica è ormai una dottrina scientifica a tutti gli effetti. E ci parla di solidarietà, di umanità, di senso civico e di partecipazione, di resistenza collettiva a qualsiasi bruttura e violenza, ricordandoci la gara di solidarietà che la città seppe mettere in moto di fronte alla strage fascista del 2 agosto del 1980. Ecco, sì! Bologna come porta di entrata per Barcellona, per un evento che richiama infermieri di un mondo dove le brutture, i razzismi, le violenze e le guerre aumentano, ma dove l’identità di cittadini e professionisti, la solidarietà umana e comunitaria veicolano le conoscenze scientifiche e la pratica individuale verso un’assistenza infermieristica funzionale ai bisogni di salute altrui. E predispone bene per il titolo del congresso: “Nurses at the forefront trasforming care”: gli infermieri in prima linea nella trasformazione dell’assistenza. Sempre.
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