Barcellona ti dà questa sensazione di fallimento e di riconquista. Il fantasmagorico Parc Guell che sovrasta la città in realtà doveva essere un esperimento avvenieristico, più di cento anni fa, di una città giardino per i quartieri residenziali. L'onirica casa Batlló fu presa da Gaudì da un progetto secondario che permise all'architetto di realizzare il suo maggior capolavoro, creando una dimora dalle linee dolci e dai colori tenui che replicano un ambiente naturale a misura d'uomo.
Icn Barcellona, il ritorno a casa dopo il Congresso
Uno scenario, uno sfondo che sembra tagliato su misura per un congresso infermieristico. In queste giornate si sono incontrati o semplicemente incrociati, parlati e ascoltati, circa cinquemila infermieri da tutto il mondo. Una goccia rispetto ai 15 milioni presenti sulla terra, una forza però in relazione ai lavori presentati, alle relazioni allacciate, alle prospettive e alle riflessioni avanzate. In queste quattro giornate di lavori si sono tenuti 26 conferenze plenarie e simposi, 704 comunicazioni orali all'interno di 69 sessioni parallele, e sono stati presentati 1835 poster scientifici.
Predominanti i lavori in lingua spagnola (per ovvie ragioni) e quelli in inglese scritti. Rilevante la presenza di autori cinesi. Ridotta, ma non per questo meno preparata, la delegazione francofona che però già sta preparandosi per i lavori congressuali del 2018, a Bordeaux, per l'incontro del Sidief, Sécretariat international des infirmièrs et infirmiers de l'espace francophone. Con gli italiani invece ci ritroveremo facilmente, in particolare per le giornate del convegno nazionale della Cnai, Consociazione nazionale associazioni infermieri, dal 19 al 21 ottobre a Ravenna. Altro momento di confronto e crescita.
Un ultimo giro per la città, prima di riprendere la strada di casa. Un salto alla Sagrada Familia, giusto per ammirarne le linee avveniristiche e cupe dell'ultimo edificio gotico della storia dell'arte e della prima cattedrale in stile liberty della storia della chiesa. Non c'è tempo per una visita, la fila è troppo lunga. Tra i turisti riconosci qualche viso incrociato durante i lavori congressuali. E allora si va verso il cuore antico e popolare della città, dirigendosi verso il Barrio Gotico.
Qui dominano le vie dei quartieri popolari, le strade strette, le aperture di quelle che una volta erano botteghe artigiane e che ora sono negozi per turisti. Su tutti domina un'altra chiesa austera, la cattedrale del duomo con a fianco una torre esagonale che ricorda un po' le linee di Castel del Monte. Qui non c'è fila da fare. Si entra e lo spettacolo lascia senza parole. Archi e volte che si incrociano, un ambiente cupo e protettivo, austero e aperto allo stesso tempo. La navata ricorda quella di molte chiese gotiche sparse in giro. In particolare assomiglia fortemente a quella di una chiesa di Teruel che, in piena guerra civile nel 1937, fu adattata ad ospedale pubblico.
Una famosa foto di Gerda Taro – la compagna di Robert Capa – la ritrae in tutta la sua drammatica storia. Sembra che qualcuno abbia detto, allora, che non avrebbero mai bombardato una chiesa, e quindi i feriti andavano portati là. Chissà se fu una buona scelta. Chissà se nella stessa Barcellona nel marzo del 1938, bastò entrare in chiesa per difendersi dalle bombe degli aerei tedeschi e italiani che fecero attorno alle quattromila vittime fra morti, feriti, dispersi e sfollati. Barcellona, la Catalogna, la Spagna stessa sono anche questo e rappresentano un grande promemoria a cielo aperto delle miserie e delle tragedie umane, delle speranze e dei tentativi di miglioramento. Le stesse su cui vengono chiamati ogni giorno a intervenire gli infermieri di tutto il mondo. Pensieri un po' tristi, ma sono quelli che ogni partenza porta con sé. La nostalgia accompagna ogni viaggio umano.
All'aeroporto incontro Suleiman e Hussein, due colleghi palestinesi che ho conosciuto a Malta sei anni fa e che mi ringraziarono di essere... Italiano, come il volontario Vittorio Arrigoni, ucciso in circostanze mai chiarite, in terra palestinese. Tramite loro mando un saluto a Miriam Hirschfeld, la delegata israeliana che a Melbourne, quattro anni fa, introdusse favorevolmente l'accoglienza in seno all'Icn dell'associazione degli infermieri palestinesi. La sala allora si commosse, il delegato iraniano stesso abbracciò riconoscente Miriam. Sembrano storie di un altro tempo o di altri mondi. Sono storie invece di infermiere e infermieri che resistono alle brutture e ai soprusi, senza dimenticare la dimensione umana; senza rinunciare ai dettami scientifici.
Andare avanti, sempre
, mi ha ricordato Beatrice, una collega olandese, citando, a suo dire, le parole della Henderson che lei ha conosciuto. E cui è stata dedicata la plenaria di mercoledì. Si, avanti, non c'è altra strada per chi cura, assiste o sostiene da vicino l’altro da sé. Avanti, non c'è altra strada per le infermiere e gli infermieri, nella difesa dei diritti alla salute, nell'equità delle prestazioni, nell'affermazione di una identità professionale che include saperi e valori e non esclude nessuno.
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