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Lettere al direttore

Studenti Infermieri, i figli di...

di Redazione

Infermieri

Parla una studentessa: "Genitori infermieri, vi chiedo solo di insegnare ai vostri figli, un po’ di sana umiltà, la base del nostro lavoro, insegnategli quanto sia bella quest’arte, non insegnategli a presentarsi con vostro nome."

Caro Direttore,

vi invio questa lettera che ho scritto, circa gli studenti "figli di..." nel mio corso di Laurea. Confrontandomi con amici,  è venuto fuori che quella dei raccomandati è una realtà italiana e non della mia città toscana; proprio per questo ci teniamo affinchè venga pubblicata, perchè adesso sta ai genitori  infermieri, perchè per poter iniziare dalle radici a cambiare questo sistema e per rivalorizzare la nostra figura, la nostra professione, abbiamo bisogno di arrivare a loro, della loro passione, del loro amore per la più bella delle professioni, non del loro nome. 

Sono una ragazza di 20 anni, iscritta al Corso di Laurea in Infermieristica della mia città.

Fin da piccola ho sempre voluto fare il medico.

Impazzivo all’idea di poter salvare una vita, volevo essere un medico, un cardiochirurgo con le mani in mezzo ai cuori.

Volevo esser quella che li rimetteva apposto, perché si sa, il cuore è il motore della vita, e io volevo esserne il meccanico pronto a ripararne ogni più piccolo guasto.

Il destino, per me, ha avuto altri progetti. Mi sono trovata catapultata in un’altra dimensione: la persona, la persona per intero, non una parte ma ogni sua parte.

Insegnare a chi perde l’uso di una mano come fare per vivere anche senza, diventare la gamba di chi non ne ha più una, essere la descrizione del mondo per chi non vede più.

Il destino, per me, ci ha visto più lontano. Mi ha vista più lontano. La verità è che avrei davvero voluto fare il cardiochirurgo, avrei davvero voluto guarire i cuori malati, essere la pila nuova per un orologio fuori tempo; non posso.

La verità è che sono nata per aiutare gli altri a riprendersi se stessi, non una parte di sé.

Sono nata per aiutare corpo e mente, nata per la restitutio ad integrum della persona, nata per sostenere, sorreggere, aiutare, pazientare, com-patire, stringere, aiutare, riportare a vivere, risvegliare quella enorme forza vitale che esiste dentro ognuno di noi.

Non sarò io a riaggiustare gli ingranaggi rotti, sarò colei che farà ripartire tutto.

Sarò l’infermiera migliore che si sia mai visto camminare tra le corsie, sarò l’angelo di chi avrà bisogno di me, di chi avrà bisogno di sé.

Adesso vorrei far riflettere tutti voi, futuri colleghi, su una cosa… Mi ritrovo all’Università con figli di coordinatori infermieristici, figli di infermieri, figli di medici, figli di professori, figli di infermieri che lavorano sull’emergenza-urgenza territoriale e spesso sugli interventi (essendo che faccio i turni in un ANPAS) mi chiedano come vada loro figlio all’Università. La risposta sta qui: quando facciamo laboratori o quando siamo in tirocinio questi ragazzi si rifiutano di fare questi interventi infermieristici, perché loro sono “figli di…”. Quando siamo in tirocinio molto spesso vengono avvantaggiati nei vari Reparti, dal fatto di  presentarsi come “figli di…”. Sappiate che non è così che si lavora: i raccomandati stanno venendo tutti a galla. Le lacune che hanno alcuni medici ma anche infermieri che esercitano, dovute all’essere stato avvantaggiato nel percorso di studi, emergono a primo impatto, già dalla fase di accertamento o nell’approccio con il paziente.

Florence Nightgale scriveva: “L’assistenza è un arte; e se deve essere realizzata come arte, richiede una devozione totale e una preparazione, come qualunque opera di pittore o scultore, con la differenza che non si ha a che fare con una tela o un gelido marmo, ma con il corpo umano, il tempio dello Spirito di Dio. E’ una delle belle arti, anzi la più bella delle arti.”

Di certo non sarà chi si presenta come “figlio di…” a farmi abbassare la testa, io faccio questo percorso a testa alta, ne vado fiera, mi innamoro ogni giorno di più della mia scelta, perché credo che l’unico modo di fare un gran bel lavoro sia amare quello che si fa.

Dunque genitori infermieri, vi chiedo solo di insegnare ai vostri figli, un po’ di sana umiltà, la base del nostro lavoro, insegnategli quanto sia bella quest’arte, non insegnategli a presentarsi con vostro nome.  Per poter iniziare dalle radici a cambiare questo sistema e per rivalorizzare la nostra figura, la nostra professione, abbiamo bisogno di voi, della vostra passione, del vostro amore per la più bella delle professioni, non del vostro nome."

Claudia, Studentessa Infermiera non figlia di...

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