"Riflettere su chi si è, su cosa si vuole realmente, ed essere consapevoli che, per raggiungerlo bisogna anche mettersi da parte ogni tanto, è stata una grande conquista e se solo così ho potuto raggiungerlo allora forse così doveva andare."
Caro Direttore,
Sono Silvia B., una studentessa che sta affrontando per la seconda volta il tirocinio del primo anno accademico e diversamente da quello che mi aspettavo, ritornare nell’ambiente di reparto, non è stata una cosa semplice, mettermi alla prova una seconda volta.
Una volta varcata quella soglia si è ripresentato tutto davanti a me.
Come un grande flashback cinematografico ho rivissuto i mesi trascorsi: le piccole vittore, le soddisfazioni, i sorrisi, ma anche le amarezze, i pianti e soprattutto gli errori o i passi falsi dati dall’inesperienza.
Davanti a tutto questo, davanti all’esperienza di crescita (poiché comunque di crescita si tratta), ho mosso il primo passo conscia di chi sono, di quale voglio che sia il mio futuro –(ancor più di prima), e con un’etica professionale forse più matura, pronta ad affrontare ogni giorno, affrontare tutto con la voglia di mettere in pratica il lavoro di “preparazione” fatto e assimilare il più possibile dalle nuove esperienze, per uscirne al meglio da una situazione che inizialmente può non essere stata tra le più facili da accettare.
Come esseri umani siamo legati al nostro passato, ma nonostante la titubanza iniziale si è poi risvegliata quella sensazione di familiarità. Quel calore che si prova tornando a quel mondo che fin da subito hai sentito essere il tuo, dove senti di poter superare ogni difficoltà, dove realizzi chi sei, perché è l’inizio del concretizzarsi del tuo sogno.
Dopo ormai un mese, i ritmi ingranati e le routine consolidate, mi trovo a riflettere su come vivo effettivamente questa esperienza e di chi la condivide con me.
Sicuramente la prima persona che spicca, è la mia guida di tirocinio, quella persona con cui ti trovi a parlare ogni giorno, che è il tuo “mentore”, il tuo “coach di lavoro e di vita”, e che in un tempo piuttosto limitato, si impegna a trasmetterti tutto ciò che ha imparato negli anni, che ha raccolto nel corso delle sue esperienze lavorative e di vita, in modo da agevolarti nel tuo cammino, preparandoti anche a riuscire ad immaginare quegli imprevisti che ti sembrano insuperabili.
Quella persona, il tutor, conosce la paura più grande degli studenti, la “fatidica” valutazione finale; ma, egli, infondo, ti fa capire che non tutto ruota intorno a quelle “C” (di Capace o Competente) o quelle “I” (di incapacità) acquisite.
Lui è lì, per farti comprendere che al di là del lato tecnico, pratico e professionale del lavoro che viene valutato, in quanto devi far tue delle competenze, non bisogna mai dare per scontato l’aspetto più importate e tante volte sottovalutato, ovvero il lato comportamentale e umano; in fin dei conti, dobbiamo renderci conto che andremo a prestare cure a persone con cui ci metteremo in relazione in modo da conquistare innanzitutto la loro “fiducia”.
Ognuno di noi ha un concetto di comportamento soggettivo, che segue regole di educazione comuni, ma resta pur sempre personale. Molto spesso un atteggiamento per noi innocuo, perché attuato in quotidianità senza riscontri negativi da parte di chi ci circonda, può essere valutato differentemente da altri soggetti con cui ci relazioniamo, e qui il compito del nostro compagno e responsabile a farcelo notare, a farci crescere, ad educarci.
A questo punto, abbiamo intrapreso un percorso, non siamo più bambini, e tante osservazioni le troviamo insensate, ingiustificate, impossibili da muovere nei nostri confronti, ma bisogna essere umili e mettersi sempre in discussione, comprendere noi stessi, e non solo il lavoro, è il compito più difficile.
È quindi importante cercare di stabilire insieme alla propria guida una serie di comportamenti più idonei per affrontare in tranquillità e al meglio la propria esperienza senza dover essere costantemente in apprensione per ogni singola azione o atteggiamento. Molto spesso siamo poco consapevoli del fatto che il contatto con il paziente è la cosa più importante del lavoro che abbiamo scelto. Alla base del contatto ci deve essere la relazione, il supporto non sono verbale, ma anche psicologico, utile ad individuare i bisogni di base per garantire comfort, sicurezza e fiducia nel piano assistenziale. Tali bisogni non vengono percepiti solamente dal paziente stesso, ma anche dal caregiver che lo supporta nella sua quotidianità.
Per garantire tutto ciò, credo sia necessario, avere un forte senso autocritico e dimostrare interesse verso la correttezza delle proprie capacità, e confrontandosi con figure cardine del piano di cure, quali: il proprio referente, il mentor, il personale di reparto e il personale didattico.
Tutto ciò serve per colmare le lacune, ridurre i dubbi in attività che, in alcune situazioni, sembrano scontate e banali e invece risultano essere importanti.
A tal proposito mi sorge un esempio che secondo me può essere adeguato al contesto: la scorsa notte, verso le cinque del mattino, le condizioni di una paziente progressivamente si sono aggravate. Come studente di primo anno, secondo i regolamenti didattici, non posso intervenire in situazioni di urgenza, in quanto non ho competenze adatte per prestare soccorso al meglio nella situazione specifica. In quel momento mi sembrava tanto un “omissione di soccorso”; ma alla fine dell’urgenza, confrontandomi con la mia guida, ho capito che, sono riuscita a mettere in pratica azioni che sono alla base della conoscenza infermieristica, ossia la semplice valutazione dello stato di coscienza e dei bisogni primari del paziente valutati anche con la rilevazione dei parametri vitali. Tutto ciò eseguito in presenza di personale di reparto e facendo riferimento alla mia guida.
Questo mi ha fatto riflettere tanto, semplicemente osservare e valutare lo stato di coscienza della persona che abbiamo difronte, è un’azione per molti banale, ma l’apprezzamento ricevuto dal mio tutor mi ha reso così felice; definita come semplice azione che in quel momento ha assunto un valore importantissimo. Il tutto parte da semplici azioni, banali ma che poi hanno un significato efficace.
Adesso capisco che, forse il passo più grande che dovevo fare, come persona, l’ho fatto dopo aver ricevuto la valutazione negativa lo scorso anno, perchè ho rimesso in discussione tutto di me, ma allo stesso tempo ho trovato anche molte altre certezze che ora sono molto più convinta di avere.
Riflettere su chi si è, su cosa si vuole realmente, ed essere consapevoli che, per raggiungerlo bisogna anche mettersi da parte ogni tanto, è stata una grande conquista e se solo così ho potuto raggiungerlo allora forse così doveva andare.
In fondo è vero, non tutto il male viene per nuocere, ma la voglia di crescere non mi abbandonerà.
Silvia B., Studentessa Infermiera
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