Domenica 25 febbraio, davanti l’ambasciata israeliana a Washington, si è consumato un gesto estremo di protesta. Aaron Bushnell , soldato dell’aeronautica statunitense, si è cosparso di un liquido infiammabile, ha posizionato il suo telefono per riprendersi mentre diceva che non sarebbe sato complice del genocidio, e poi si è dato fuoco al grido di “Free Palestine”. Aveva 25 anni ed è morto dopo lunghe ore di agonia. Chissà quante altre storie continueranno ad esserci di fuoco e di guerra, di fuoco e di sfruttamento lavorativo, di fuoco e maschilismo dove, come sempre, anche nella tragicità degli avvenimenti, la figura dell’infermiere è presente
La notizia è rimbalzata sui media mondiali
Aaron Bushnell, soldato statunitense che si è dato fuoco davanti all'ambasciata israeliana al grido di "Free Palestine"
Probabilmente in molti telegiornali avrà trovato lo spazio di pochi secondi, insufficienti anche solo per narrare l’accaduto. Aaron è il corrispettivo del nome di Aronne, di antica tradizione biblica, associato al fratello di Mosè. Il suo significato, secondo alcune fonti, in ebraico significa “montagna, forza, grandezza, stabilità”.
Probabilmente dentro di sé l’aviere 25enne Bushnell una grandezza la portava, ma non è stato in grado di reggerne il peso arrivando al gesto estremo che gli è costato la vita. Non è la prima volta che un fatto simile accade, specialmente come forma di protesta di fronte ad una guerra o alla violenza militare.
Negli USA si ricordano altri fatti analoghi come quelli contro la Guerra del Vietnam nel 1965 ad opera di Norman Morrison e di Roger Allen LaPorte e nel 1970 da parte di George Winne Jr. Molti anni dopo, nel 2006, è stata la volta di Malachi Ritscher, contro la Guerra in Iraq.
Il gesto del suicidio/autoimmolazione con il fuoco è stato maggiormente conosciuto in epoca contemporanea proprio in occasione della Guerra del Vietnam quando il monaco buddista Thích Quảng Đức si uccise il 11 giugno 1963 a Saigon (oggi Ho Chi Minh City) per protestare contro il governo del Vietnam del Sud repressore delle libertà religiose. Un gesto che fu seguito da ben altre 33 vietnamiti negli anni successivi.
Erano tempi in cui la protesta dilagava ovunque e la simbologia usata, di qualsiasi genere, veniva spesso imitata, anche in maniera estrema. In Europa nel 1969 fu la volta dello studente cecoslovacco Jan Palach che si diede fuoco in Piazza San Venceslao, a Praga, per protestare contro l’invasione sovietica della Cecoslovacchia, attuata per fermare, nel sangue, le riforme del socialismo dal volto umano.
Nel 1970 il Cantautore italiano Francesco Guccini ricordò l’avvenimento nel brano “Primavera di Praga”, in cui riportava la seguente strofa: Di antichi fasti la piazza vestita, grigia guardava la nuova sua vita. Come ogni giorno la notte arrivava, frasi consuete sui muri di Praga. Ma poi la piazza fermò la sua vita e breve ebbe un grido la folla smarrita quando la fiamma violenta ed atroce, spezzò gridando ogni suono di voce .
Storie di ieri e di oggi, estreme sicuramente, all’interno della follia della vita, ma che non possono essere relegate nella dimensione personalistica di chi se ne fa tragico protagonista, per sottolineare, senza appello, una follia più grande, quella della nostra società contemporanea dove vite e speranze, mondi e pensieri vengono così stritolati dalla pazzia umana della guerra .
Non solo quella in divisa, anche quella quotidiana fra oppressi e oppressori, poveri e ricchi, sfruttati e sfruttatori. Ed in questo se si arriva a credere che non ci siano più vie di uscita alla propria esistenza, e a quella dei tuoi simili, che la voce spezzata non è più ascoltata – non lo è stata mai –, ecco allora che alla follia del mondo si impone la follia del gesto ingiusto, sbagliato e terribile, come ogni cosa che miete vite umane.
Infermieri e altre storie di autoimmolazione con il fuoco
Quanto detto ottiene un’ulteriore interpretazione in relazione ad altri casi di autoimmolazione con il fuoco , persi fra i meandri della cronaca prima ancora che della storia. Narrazioni che ci portano vicino ai fatti più vicini al mondo sanitario e a quello del lavoro.
Come nel caso del suicidio di Amin Abdullah, infermiere di 41 anni che, nel febbraio del 2016 si è dato fuoco davanti al Kensington Palace, a Londra, per protestare contro il suo licenziamento dal Charing Cross Hospital, considerato come ingiusto, a seguito di un provvedimento nei suoi confronti per colpa grave per la redazione di una lettera a difesa di una collega denunciata da un paziente.
Della vicenda l’unica vera vittima, alla fine, fu lo stesso Abdullah, infermiere di origine dalla Malaysia che qualcuno ha “liquidato” come affetto da depressione . Un fatto non infrequente quando si perde il lavoro.
Lo ricorda in tal senso il film “En guerre” (2018) del regista francese Stéphane Brizé. La pellicola è la storia della lotta degli operai di una fabbrica francese che viene chiusa a seguito delle ormai note delocalizzazioni capitaliste. Una lotta lunga, partecipata e finita con la sconfitta per i lavoratori. Il protagonista della lotta è un sindacalista – Laurent Amédéo – interpretato dal magistrale Vincent Lindon, che, alla fine, come estremo gesto di protesta, non ha più alcun strumento che immolarsi con il fuoco.
E come non ricordare anche i casi di molte donne afghane – spesso minorenni - che, in qualche tragico caso, per sfuggire ad un matrimonio combinato e ad una vita di stenti e maltrattamenti, preferiscono darsi fuoco? Qualcuno parlerà anche in questo caso di follia, ma in realtà la follia è tutta nella società maschilista e negli orrori ad essa connessi .
E poi c’è la storia di Jean Pierre Timbo Inzago, infermiere dell’Ospedale di Gemena (Rep. Democratica del Congo) che la notte di sabato 9 maggio 2015 si è dato fuoco per protesta contro il mancato pagamento della sua indennità di rischio lavorativo, vitale per l’economia della famiglia. L’indennità corrispondeva a 38.000 franchi congolesi, corrispondenti a 41 dollari USA.
E poi chissà quante altre storie continueranno ad esserci di fuoco e di guerra, di fuoco e di sfruttamento lavorativo, di fuoco e maschilismo dove, come sempre, anche nella tragicità degli avvenimenti, la figura dell’infermiere è presente, indicatore sociale di questa contemporaneità , nel bene del sentire collettivo e nel male della follia, della miseria, dello sfruttamento e delle armi che conducono a finali fatali e, molto spesso, inascoltati.
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