Lo studio - condotto dal Ceinge di Napoli, in collaborazione con le Università di Napoli, Bari, Centro di Ricerca in Neuroscienze e Sistemi Cognitivi di Rovereto e IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza - ha individuato il ruolo protettivo del D-aspartato nel modulare i circuiti cerebrali coinvolti nella malattia.
NAPOLI. Arriva dai ricercatori del Centro di Ricerca di Ingegneria Genetica (Ceinge) di Napoli la notizia della scoperta di una nuova strada per la comprensione dei meccanismi biomolecolari alla base della schizofrenia, uno dei disturbi psichiatrici di maggiore diffusione e gravità che colpisce circa 1 persona ogni 100 in tutto il mondo, e che solo in Italia conta circa 250mila pazienti.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la schizofreniaoccuperebbe il settimo posto nella classifica delle malattie associate a conseguenze invalidanti per i pazienti e i loro familiari, con un costo diretto nei paesi occidentali compreso tra l’1,6% e il 2,6% della spesa sanitaria totale.
La ricerca - che ha coinvolto medici e biologi italiani, mettendo in rete il Centro di Ricerca in Neuroscienze e Sistemi Cognitivi di Rovereto, l’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza e le Facoltà di Medicina dell’Università Aldo Moro di Bari, dell'Università Federico II di Napoli e Seconda Università di Napoli - ha consentito la scoperta di un complesso percorso molecolare che fin dalle fasi embrionali di vita sarebbe implicato nello sviluppo di alcune delle alterazioni cerebrali tipiche della schizofrenia e associate alla sintomatologia psicotica.
Lo studio - condotto dal team guidato dal biologo romano Alessandro Usiello, docente di Biochimica clinica alla Seconda Università di Napoli e direttore del laboratorio di Neurobiologia del Ceinge - ha evidenziato l’importanza di un aminoacido, il D-aspartato, nel regolare alcuni processi biochimici capaci di influenzare il comportamento dei neuroni coinvolti nella schizofrenia. «La nostra ricerca – spiega Alessandro Usiello – ha mostrato un ruolo protettivo del D-aspartato nel modulare i circuiti cerebrali coinvolti nella schizofrenia, un ruolo incentrato sulla capacità di questo D-aminoacido di potenziare l’attività di una particolare classe di antenne molecolari, i recettori NMDA, che risultano essere poco funzionanti nei pazienti affetti da schizofrenia, contribuendo in tal modo a determinare le alterazioni fisiopatologiche alla base dell’insorgenza dei sintomi psicotici».
Grazie agli studi funzionali di Alessandro Gozzi, ricercatore presso il Centro di Ricerca in Neuroscienze e Sistemi Cognitivi di Rovereto, abbiamo dimostrato che, nei topi, alti livelli di questo D-aminoacido sono in grado di attenuare le alterazioni cerebrali indotte da sostanze psicotrope come la fenciclidina, nota anche come polvere d’angelo.
«Risultati importanti – continua Alessandro Usiello – suffragati nell’uomo da uno studio di genetica e di risonanza magnetica strutturale e funzionale condotto presso l’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo da Annabella Di Giorgio, psichiatra e ricercatrice, in collaborazione col team di ricerca di Alessandro Bertolino, docente di Psichiatria dell’Università Aldo Moro di Bari.
Il contributo dell'IRCCS Casa Sollievo alla Ricerca
È stata pubblicata recentemente su Translational Psichiatry, prestigiosa rivista del gruppo Nature, la prima ricerca traslazionale uomo-topo che dimostra il ruolo del D-Aspartato nell’influenzare in vivo una serie di fenotipi cerebrali, di interesse per lo studio della schizofrenia. «Il contributo del nostro Ospedale - spiega Annabella Di Giorgio, prima firma dell’articolo - unitamente a quello proveniente dal gruppo di Neuroscienze Psichiatriche dell’Università “Aldo Moro” di Bari, guidato da Alessandro Bertolino, è stato importante nel supportare le scoperte fatte sul topo da Usiello».
I ricercatori, attraverso il sequenziamento del DNA di tessuto umano post-mortem di corteccia prefrontale, hanno dapprima identificato una variante del gene della D-Aspartato Ossidasi, il cui prodotto è un enzima che degrada il D-aspartato e che predice i livelli cerebrali del D-aminoacido. Quindi, hanno valutato se questa variante genetica (rs3757351) potesse avere effetti sulla struttura e il funzionamento cerebrale nell’uomo. A tal fine, hanno sottoposto un ampio campione di soggetti sani a prelievo ematico e ad esame di risonanza magnetica strutturale e funzionale, quest’ultima durante lo svolgimento di un compito di memoria a breve termine. Il prelievo ematico è servito per definire le caratteristiche genetiche di ciascun individuo.
«I risultati dello studio - continua Di Giorgio - hanno dimostrato per la prima volta nell’uomo "in vivo" che la variante genetica da noi identificata influenza in maniera significativa non solo il volume di sostanza grigia ma anche il funzionamento della corteccia prefrontale, area chiave nei processi di memoria a breve termine, che sono alterati nella schizofrenia».
La scoperta avrà notevoli implicazioni nello studio della patologia, perché consente di elucidare meccanismi molecolari nuovi alla base del disturbo e consente di delineare un nuovo target per lo sviluppo di farmaci potenzialmente più efficaci nel trattamento dei sintomi cognitivi della schizofrenia.
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