E' accaduto a Potenza dove sono stati assolti 12 professionisti medici dall'accusa di aver provocato la morte di un paziente nel 2014.
POTENZA. “La causa della morte è da iscriversi a choc conseguente a emorragia rinofaringea in paziente con pregresso carcinoma del rinofaringe sottoposto a radioterapia”. La sentenza ordinanza del gip Luigi Spina ha proscioto tutti i dodici medici del San Carlo indagati per la morte di Luciano La Torre, deceduto il 30 novembre del 2014 nel reparto di Neurologia, dove era stato trasferito dall’Otorinolaringoiatria per un ictus sopravvenuto il giorno prima.
Le complicanze che si sono verificate erano prevedibili (come si evince in letteratura) ma non evitabili. Una vicenda che, a partire dalla denuncia del figlio, ebbe grande eco mediatico.
La decisione del gip è maturata alla luce delle consideraioni medico legali dei CTU: i sanitari, nella loro pratica medica si sono attenuti alle linee guida relative alla patologia del paziente. In particolare, scrivono i dottori Solarino e Modami, “sulla scorta del raffronto tra l’iter clinico del paziente e la revisione della letteratura scientifica, in definitiva, congrua deve ritenersi la strategia adottata dai sanitari del Presidio Ospedaliero di Potenza di tentare di arginare il sanguinamento, nelle prime 48-72 ore, a mezzo di tamponi nasali.
Corretta deve ritenersi inoltre la condotta dei sanitari che attuarono le manovre rianimatorie sul La Torre in data 30.11.2014, posto che furono attuati i presidi prescritti dai protocolli di Advanced Life Support, e fu tentata l’aspirazione del materiale ematico presente nelle vie respiratorie.
Tuttavia la copiosità del versamento e la profondità raggiunta dal materiale ematico, funzione anche del deficit neurologico del paziente, resero inefficaci le pur congrue manovre rianimatorie poste in atto”.
Lo stesso Pm, Vincenzo Lanni, diffusamente argomentando la sua richiesta di archiviazione, ha escluso qualsiasi responsabilità dei medici: “lo scrivente, sulla scorta degli esiti della consulenza autoptica disposta, ritiene allo stato inconsistente ogni sorta di ipotesi ricostruttiva di responsabilità penale in capo agli indagati stante l’impossibilità di ricondurre il decesso alla condotta commissiva od omissiva di taluno di essi” concludendo che “nessuna omissione o diagnosi errata [è] stata posta in essere e il decesso [è] conclusivamente da attribuire a una complicanza prevedibile ma non evitabile”.
Un altro caso di presunta malasanità passato al vaglio della magistratura è quindi ricondotto alla sua reale dimensione di tragedia inevitabile.
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