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Ospedale di comunità: il riconoscimento del valore degli infermieri

di Pietro Caputo

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Chi di voi sta assistendo al riassetto organizzativo “macro” nella propria regione ha sicuramente sentito parlare di OsCo (Ospedale di Comunità). Ma cos’è realmente un OsCo? Quali benefici può apportare?

Il  modello  OsCo si è diffuso dall’Inghilterra verso il Nord Europa e successivamente in Francia, Svizzera e Germania, dove se ne trovano alcuni esempi.

 

Ma in Italia come verrà “tradotto” questo modello? Una nuova strategia per garantire un sistema medico-centrico? O forse un interessante risvolto pratico per il cittadino?

 

Possiamo considerare l’OsCo il ponte tra l'ospedale e i servizi territoriali, per tutte le persone che non necessitano di ricovero in reparti specialistici, ma che hanno comunque bisogno per alcune settimane di assistenza che non potrebbero ricevere a domicilio.

 

Insomma quello che mancava, quel passaggio intermedio che può rispondere ai nuovi bisogni di una  popolazione sempre più anziana, sempre più oncologica, sempre più sola, dove la famiglia a volte è puramente un concetto astratto.

 

Il nuovo regolamento sugli standard ospedalieri, previsto dal Patto per la salute 2014-2016 e che ha incassato in questi giorni il via libera delle Regioni, contiene al suo interno, oltre agli standard di posti letto e i nuovi limiti per le case di cura accreditate, anche e soprattutto le linee guida sugli OsCo e definisce la gestione a carico degli Infermieri:

 

“È una struttura con un numero limitato di p.l. (15-20) gestito da personale infermieristico, in cui l’assistenza medica è assicurata dai medici di medicina generale o dai PLS o da altri medici dipendenti o convenzionati con il SSN e la responsabilità igienico-organizzativa e gestionale fa capo al distretto che assicura anche le necessarie consulenze specialistiche.”

 

Sono menzionati poi i pazienti che possono accedervi:

“..Prende in carico pazienti che necessitano

1) di interventi sanitari potenzialmente erogabili a domicilio ma che necessitano di ricovero in queste strutture in mancanza di idoneità del domicilio (strutturale e familiare).

2) di sorveglianza infermieristica continuativa.
La degenza media prevedibile è di 15/20 giorni.”

 

Si continua con le modalità di accesso, introducendo anche il servizio di  pronto soccorso: “L'accesso potrà avvenire dal domicilio o dalle strutture residenziali su proposta del medico di famiglia titolare della scelta, dai reparti ospedalieri o direttamente dal pronto soccorso.”

 

E ancora il riconoscimento dell’infermiere e poi degli altri professionisti della salute: “L'assistenza sarà garantita nelle 24 ore dal personale infermieristico e addetto all'assistenza, dai medici di medicina generale e dai pediatri di libera scelta e dai medici di continuità assistenziale.”

 

Una conquista e un riconoscimento sul quale poco ancora è stato detto, che apre la strada a grandi speranze sia in termini occupazionali sia in termini di sviluppo professionale.

 

Se il Ministro della Salute e chi ha collaborato alla stesura del documento credono in noi, forse è ora che anche noi stessi lo facessimo, infermieri frustrati rischiano di erogare assistenza di scarsa qualità, e chi sta male non lo merita, noi la differenza possiamo farla, il sorriso di un paziente a volte paga più di qualsiasi altra cosa.

 

Fiero di essere un infermiere.

 


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