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Editoriale

Natale e la semplicità di essere grati

di Monica Vaccaretti

È Natale a Kiev. A Natale sono 305 giorni di guerra. Dai soldati della Nato di stanza in Lituania giungono agli ucraini gli auguri di Merry Christmas sulle note di Carol of Bells. Uomini e donne in mimetica – i simboli, i colori e i baschi sono di diversi eserciti dell'Alleanza Atlantica - cantano in un video girato nelle foreste innevate di confine. La tipica canzone natalizia sembra un commuovente canto di resistenza. Nella piazza principale della capitale è stato addobbato un gigantesco abete con luci gialle ed azzurre che si accendono quando non ci sono i blackout di corrente.

La gratitudine è un'affettuosa riconoscenza alla vita

Natale 2022: in Ucraina sono 305 i giorni di guerra

È Natale sulle rovine dei paeselli sventrati dai missili e sulle semplici case della povera gente. Sulle stalle e sui fienili. Sui cani randagi. Sui condomini e sui grattacieli. Dentro le metropolitane che sono ancora rifugi antiaerei per i cittadini.

Una giovane donna sferruzza la lana, magari per un guanto o un calzino caldo, in piedi appoggiata al muro.

È Natale sull'impronta del cadavere di un soldato, russo o ucraino non fa differenza, sembra un calco pompeiano lasciato nel fango indurito dal gelo. È stato pietosamente raccolto dopo mesi.

È Natale sugli stivali inermi e distesi sull'uscio, si vedono sole le gambe dentro una tuta blu da agricoltore mentre una madre in giardino grida dal dolore “Perché a te?”.

È Natale pesante sui residui bellici russi, scoppiati o abbandonati. È Natale sulle fosse comuni, quelle scoperte e quelle ancora da diseppellire. È Natale sui fari delle auto che viaggiano lente lungo strade piombate nell'oscurità e sui camion di aiuti umanitari in coda per chilometri.

Il Natale si posa lieve come la neve e la luce del sole sulle cupole d'oro delle chiese ortodosse. Accarezza pietoso il muro della Rimembranza, pronuncia uno ad uno i nomi dei militari ucraini caduti e piange la loro memoria al cimitero degli Eroi, addobbato di corone e di candele. Come fosse sempre Natale.

Il Santo Giorno arriva anche all'ospedale di Leopoli dove nel centro “Unbroken” si curano per la riabilitazione fisica e mentale i feriti di guerra. Unbroken significa intero, integro, non rotto. Qui medici, infermieri e fisioterapisti cercano di rimettere insieme, in tutte le loro componenti di carne e spirito, questi uomini a pezzi o molto vicini al punto di rottura psicologica.

Ricordando la sofferenza dell'Ucraina come l'anno scorso avevamo pietà della sofferenza per il Covid, mai come questo Natale dovremmo riscoprire il valore della gratitudine, questa meravigliosa sensazione di lieta consapevolezza di essere e di avere. Di essere fortunati per qualcosa o per l'affetto di qualcuno. Certamente vorremmo che il Natale fosse quello sempre sereno e senza pensieri brutti di quando eravamo bambini, forse lo era semplicemente perché eravamo ignari allora dei mali del mondo.

Ora che siamo adulti il Natale non dovrebbe essere soltanto lucette sfavillanti e regali, festoni e cenoni. Penso che l'austerità cui siamo costretti dagli eventi energetici ed economici non ci faccia male se serve ad accendere la libertà di un popolo. Possiamo spegnerci e resistere ancora per salvare la luce bella degli ucraini. Dei siriani. Degli iraniani. Quella luce dovremmo forse riaccenderla tutti.

Così riscopro un Natale grato sulle luminarie cittadine che segnano la via verso l'ospedale e che si spengono a mezzanotte, per risparmiare l'energia pubblica. Ma il Comune ha pensato di cambiare addobbi e al posto dell'annuale stella mi ha attaccato davanti alla finestra un gigantesco fiocco di neve dalla luce fredda.

Il Natale mi entra in casa anche con il neon verde dell'insegna della farmacia di turno all'angolo della strada, è tutto un via vai di auto e passanti che si fermano per qualche medicinale introvabile per alleviare i sintomi dei molti mali di stagione. Sull'aiuola il farmacista ha posizionato un piccolo gazebo per eseguire i tamponi Covid, prestazione sanitaria che non manca neppure quest'anno. Sono grata, tuttavia, che la pandemia sembri ora meno grave o forse è soltanto più gestibile grazie a farmaci e vaccini.

La gratitudine si posa anche sull'albero vero che ho addobbato con i giochi di luce, non il classico abete ma un innesto di due sempreverdi che si intrecciano sul tronco. E per risparmiare sulle bollette ho pensato di appendere luci a batteria sulle piante pendenti. Il presepe è minimal, austero, ma non manca. Dalla sacra rappresentazione ho tolto San Giuseppe, il cane mi ha mangiato la statuina di gomma. Sembra blasfemo ma in fondo ci sono tante mamme single al mondo, decido che quest’anno il Natale mi assomiglia: è donna da sola con il suo bambino.

Sono grata per tante cose, soprattutto per quelle che generalmente diamo scontate e riteniamo semplici o di poco conto. Sono invece le più essenziali, mai banali. Sono gratitudini primarie, senza le quali è più difficile rendere grazie per quelle più alte e nobili.

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