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Editoriale

I mali della nostra sanità pubblica

di Fabio Albano

Ciò che ha messo a nudo la pandemia è stata l’incapacità della nostra sanità pubblica di reagire con tempi e modi congrui alle esigenze. Sino a pochi mesi fa la nostra sanità era ospedalocentrica. Il COVID-19 ha posto in evidenza la mancanza dell’assistenza sanitaria sul territorio. Questa condizione era ben nota, e da tempo, a noi professionisti della salute. Intanto le famiglie si trovano costrette a gestire i propri cari affetti da patologie croniche. Si faccia una seria riflessione in merito e non ci si fermi ad analizzare solamente la questione R.S.A. in piena pandemia. La politica tutta, nessuna parte esclusa, ha le sue grandi colpe circa il disfacimento della sanità pubblica e a raccontarlo dovrebbero essere i professionisti della salute che vi sono dentro o che vi sono usciti perché delusi.

Sanità pubblica italiana tra sprechi e spese incaute

Si ascolti chi vive quotidianamente, in prima linea, l'affanno sanitario

Ovunque si legge delle ristrettezze economiche cui è stato sottoposto il nostro S.S.N. Certo, lo sanno bene tutte le professionalità che vi lavorano. Carenza di medici specializzati, carenze di infermieri e di personale assistenziale. Ospedali obsoleti e poco adatti alla cura e alla privacy delle persone.

Ciò che si vuole porre in evidenza è che se si vuol curare il malato cronico, la nostra sanità pubblica, bisogna stare attenti a non sbagliare diagnosi. Bisogna aver bene chiaro in mente che non si risolve il problema, in primis, demolendo quella privata. Semmai questa condizione sarà il frutto di una corretta restaurazione del S.S.N.

I mali della nostra sanità pubblica non sono una conseguenza dell’esistenza della sanità privata. È importante comprenderlo. Cominciamo con l’uso della terminologia corretta. In Italia esistono tre modelli sanitari: il primo interamente pubblico, il secondo privato puro e il terzo privato convenzionato. Quando si scrive o parla di sanità privata si ci riferisce a quella convenzionata con il S.S.R. Ma come fa a saperlo chi non è dentro il sistema?

Come funziona la sanità in convenzione? Funziona che la Regione destina un certo budget al privato convenzionato per effettuare determinate prestazioni. Il totale viene frazionato in base ai D.R.G. (diagnosis-related group) in italiano R.O.D. (raggruppamento omogeneo di diagnosi) stabiliti per ogni singola prestazione.

Dove sta la convenienza per la sanità pubblica? Sta nel risparmio dei soldi spesi per il personale. Da sempre uno dei costi maggiori, se non il maggiore, in sanità. Una burocratizzazione esagerata che dilata i costi amministrativi in maniera spaventosa. Ma pure la scarsità di posti letto determinata dalla chiusura dei piccoli ospedali periferici ha il suo impatto nella strategia di spesa pubblica. Se hai pochi posti letto non hai la copertura sufficiente.

Esiste, inoltre, un aspetto che non viene mai valutato. Il parere delle persone che vengono curate. Quali sono le loro priorità, quali sarebbero le vostre priorità in caso di necessità di cura? Personalmente direi prima di tutto guarire. E poi la valutazione della qualità del processo di cura. Cioè aver incontrato personale sanitario preparato ed efficiente, aver trovato gentilezza e comprensione per il proprio stato di salute, aver percepito qualità e sicurezza, non aver speso una lira per il ricovero e ultima condizione quella di essere ricoverati in un ospedale pulito e il più possibile vicino a casa. Queste macro-condizioni le possono offrire entrambe le sanità.

Al paziente non importa dove viene curato, interessa guarire. La politica incominci ad ascoltare anche la voce del malato. Scopra, veramente, quali sono le sue esigenze. Esiste poi un altro problema che tutti tendono a sminuire: la vetustità architettonica di molti ospedali italiani.

Esistono ospedali fuori da ogni concetto di dignità e rispetto per le persone ricoverate. Ospedali che andrebbero chiusi subito, ma che la politica non chiude per mille segreti motivi. Il rispetto per i pazienti nasce proprio da qui. Per il paziente meglio le formiche in un letto d’ospedale pubblico o un letto pulito in un ospedale convenzionato?

Nella sanità pubblica non esistono solamente gli sprechi, esistono pure le spese incaute. È il caso relativo ai costi di finanziamento per l’acquisto e la gestione dei ROBOT chirurgici. Un ROBOT Da Vinci, ad esempio, costa dai 3.500.000 ai 4.000.000 di euro in 5 anni. Ogni procedura chirurgica costa circa 4000 euro, di solo materiale relativo all’atto operatorio. Per chi fosse interessato circa le differenze pos intervento, in caso di prostatectomia radicale, tra procedura chirurgica mediante ROBOT, open e videolaparoscopia suggerisco la lettura di uno studio del Loyola University Chicago Stritch School of Medicine pubblicato su “Current Urology”.

Prima di scatenare inutili polemiche in merito, è dimostrata la riduzione di emorragie o una diminuzione dei tempi di ricovero in caso di approccio robotico. Ottimi risultati. Ma viene pure evidenziato che il risultato oncologico non muta con il mutare della tecnica chirurgica. E comunque, ciò che non viene mai considerata negli studi è la qualità della mano del chirurgo. Non tutti sono in grado di guidare un’astronave, anche dopo anni di simulazione.

Ma la domanda è questa? Può la nostra sanità pubblica che non raggiunge il territorio, che ha ospedali fatiscenti e ampia sofferenza di personale, permettersi il lusso di acquisti simili? La Ferrari è un’automobile che in pochi si possono permettere.

Non si può non spendere un paio di righe circa le mazzette che alcuni gestori la sanità pubblica hanno intascato o elargito pro bono sua. Sono soldi pubblici che avrebbero dovuto trovare destinazione d’uso pertinente. Hanno invece arricchito qualche faccendiere schierato politicamente o qualche famiglia mafiosa.

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