PISTOIA. Contenendo la spesa per ogni singolo fattore produttivo (personale, medical device, privato accreditato, ecc.) e contraendo gli investimenti in tecnologie e rinnovo infrastrutturale la sanità pubblica sistema i conti nel breve periodo, ma a discapito della performance sanitaria presente e futura, tanto che in alcune regioni si fa concreto il rischio di sotto-trattamento, ovvero dell’impossibilità di far fronte alle necessità sanitarie della popolazione.
Dilatando i tempi di pagamento, in casi estremi, fino a 1.500 giorni e non rinnovando le attrezzatura le aziende si espongono a costi futuri – e creano perciò debito sommerso – in termini di prezzi più alti per le forniture, interessi di mora, contenziosi e personale impiegato per far fronte alle richieste dei creditori e futura obsolescenza tecnologica e inadeguatezza infrastrutturale.
Il Rapporto Oasi 2013 sul sistema sanitario italiano, presentato alla Bocconi dal Cergas, ribadisce la natura “sobria” del nostro sistema sanitario, con una spesa pubblica pro capite, significativamente più bassa di quella di Germania, Francia e Regno Unito e un disavanzo in forte diminuzione.
I risultati sono notevoli soprattutto nelle regioni soggette a Piani di rientro: il disavanzo della Campania, nel 2012, è un decimo di quello del 2005, quello del Lazio un quinto e quello della Sicilia è sostanzialmente azzerato.
Rimane però rilevante il gap di performance tra i diversi sistemi sanitari regionali ed è evidente la disparità tra le regioni in Piano di rientro e le altre, tanto che alcune di queste “risultano inadempienti o parzialmente inadempienti” nel mantenimento dei livelli essenziali di assistenza. Questo è un pericoloso campanello di allarme sul potenziale livello d’iniquità nell’accesso alle cure tra nord e sud.
Ma guardate quanto espresso nel rapporto della Bocconi è di estrema verità anche nelle logiche regionali, infatti vi sono situazioni di disomogeneità fra usl e usl sia sul profilo tecnico professionale che sul profilo finanziario; vedi in Pistoia, una delle aziende meno finanziate in regione. Pertanto dalla politica deve essere portato alla luce il problema del sotto-finanziamento che non può che portare a tagli incisivi che compromettono l’equità dell’accesso ai servizi da parte dei cittadini (vedi liste di attesa) e inevitabile peggioramento della qualità dei servizi stessi.
Tutto questo alimenta inoltre il sistema delle fughe che sappiamo bene quanto costa in termini economici. La situazione che è stata appena analizzata si ripercuote anche sulle dotazioni organiche che inevitabilmente vengono livellate verso il basso tenendo conto anche dei vincoli imposti dalla finanziaria che riporta alle dotazioni organiche dell’anno 2004 – l'1,4%. Le modalità di definizione del fabbisogno di risorse professionali, affinché i cittadini possano avere una efficace risposta al loro bisogno di cura, e più specificatamente di assistenza infermieristica, devono essere inserite in un contesto permeato da nuovi eventi di natura sociale, economica, istituzionale e tecnologica a cui le aziende sanitarie devono rispondere con strumenti e modelli gestionali adeguati.
L’evoluzione della domanda di salute si concretizza nella richiesta, da parte del cittadino utente, di percorsi sempre più personalizzati di presa in carico per poter esprimere, partecipare consapevolmente e attivamente alla risoluzione dei problemi di salute. Lo scenario economico attuale impone costanti riflessioni sulle risorse a disposizione e sulle modalità del loro utilizzo, ma in seguito a questa affermazione si deve evidenziare che numerosi studi mettono in risalto una correlazione diretta tra dotazione organica ed esiti sul paziente. Si evince da essi che la presenza, la competenza e un numero adeguato di professionisti incide sull’outcome dei pazienti, gli eventi avversi diminuiscono e di conseguenza migliora la percezione del paziente rispetto all’assistenza ricevuta con diminuzione delle degenze medie e dei costi correlati.
Così nel tempo sii è avviato un dibattito sul “nurse to patient ratio” ottimale, ovvero su quale debba essere il numero di pazienti per ciascun infermiere presente nelle degenze ospedaliere necessario per minimizzare il rischio che una situazione di “understaffing” sia causa diretta di mortalità ed eventi avversi.
La necessità di ridefinire lo standard di assistenza infermieristica nelle degenze ospedaliere consegue a due importanti evoluzioni: quella normativa professionale, che ora affida all’infermiere la diretta responsabilità, e la gestione delle attività di assistenza e delle funzioni di supporto e l’evoluzione degli ospedali verso un modello per intensità di cura/complessità assistenziale.
Abbandonato il concetto di pianta organica predefinita, la legislazione fissa l’obbligo di definire il fabbisogno di personale attraverso la rilevazione del carico di lavoro. Il fabbisogno di personale infermieristico e la progettazione delle dotazioni organiche si basano sulla rilevazione effettiva della complessità assistenziale, della criticità-instabilità e del relativo carico di lavoro connesso. Calcolato il fabbisogno delle cure/complessità assistenziale espresso in fabbisogno di ore assistenziali, è possibile ricavare tutti gli altri dati quantitativi riferiti al fabbisogno, alle dotazioni e alle presenze corrispondenti al periodo temporale desiderato.
Un dato allarmante parametrizzato è il tasso di assenza che tiene conto di tutte quelle che il personale effettua a vario titolo, escluse le ferie, i riposi settimanali e le festività. Il calcolo di questo tasso è fondamentale perché insieme alla determinazione del fabbisogno, consente di individuare la dotazione organica che è necessario conferire alla struttura. Il tasso di assenza è stato ricavato dalla scheda E2 dell’Istituto Superiore Sant’Anna, indagine MeS 2012 che è pari al 6,54% per la USL 3 di Pistoia.
Gli ospedali per acuti, per funzionare, necessitano di una rete territoriale strutturata ed efficiente al fine di garantire i bisogni degli utenti fragili quali bambini, disabili, anziani. Per fare tutto questo non c’è bisogno di apparati burocratici complessi, bensì della cooperazione fra professionisti quali medici di medicina generale, specialisti ospedalieri, professionisti delle professioni sanitarie e istituzione locali perché soltanto con team multidisciplinari si può considerare l’individuo e la famiglia nella totalità e non un numero, una patologia, un caso. Il territorio pistoiese è povero di tutto questo e pertanto la politica deve investirci pensando anche il coinvolgimento delle associazioni di volontariato.
Quindi la politica locale deve impegnarsi con le istituzioni regionali e nazionali al fine di riportare la sanità pistoiese a livelli qualitativi accettabili, salvaguardano le eccellenze dal fiorentino centrismo e cercando di colmare le carenze organiche che sicuramente aiuterebbe anche a ristabilire anche un clima di lavoro più sereno.
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