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Ipertensione, curarla con la simpatectomia

di Vladimir Guluta

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L’ipertensione arteriosa è una patologia ad alto impatto nella salute pubblica, con una morbidità e mortalità cardiovascolare (CV) estremamente alta. Nonostante la presenza di numerosi ed efficaci farmaci antipertensivi, un numero considerevole di ipertensioni non sono farmacologicamente parlando, ben controllate. Questi soggetti hanno un rischio alto di complicanze CV come lo stroke, cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, malattia vascolare a livello degli arti inferiori ed insufficienza renale progressiva.

Il ruolo dell’aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico (SNS) nell’ipertensione arteriosa è da molti anni ben noto. La simpatectomia cruenta o con l’aiuto di farmaci (che poteva trovare posto nell’armamentario contro l’ipertensione arteriosa) è stata abbandonata a causa degli effetti collaterali come l’ipotensione artostatica, impotenza e l’incontinenza urinaria. Lo sviluppo recente di particolari tipi di cateteri in grado di realizzare per via percutanea l’isolamento del rene dal suo sistema simpatico ha riportato alla luce il concetto della simpatectomia come trattamento nei pazienti affetti da ipertensione arteriosa severa e resistente alla comune terapia medica (“drug-resistent hypertension” degli autori anglosassoni). Si tratta di pazienti con funzione renale normale, in terapia con almeno 3 diversi farmaci ipotensivi, di cui un diuretico.

L’idea della simpatectomia per abbassare la pressione arteriosa è stata utilizzata nei pazienti con ipertensione severa sin dagli anni ’30 e si basava su alcune osservazioni: 

  1. nell’ipertensione arteriosa l’attività dei nervi simpatici renali è molto più intensa rispetto a quella degli atri organi;
  2. l’attivazione del SNS renale produce un aumento della produzione di noradrenalina da parte dei reni, un aumento della vasocostrizione renale, un aumento dell’attività reninica con maggiore ritenzione di sodio ed acqua da parte del rene stesso;
  3. le fibre nervose simpatiche sia afferenti che efferenti sono localizzate proprio nella parete dell’arteria renale.

La procedura percutanea interessa le due arterie renali che sono raggiunte dall’inguine, per via femorale. Con l’aiuto di particolari cateteri, erogando energia elettromagnetica a livello delle pareti delle due arterie renali si interrompono le vie del SNS. La risposta è un calo notevole della produzione di noradrenalina renale e nei primi mesi post procedura, una graduale diminuzione dei valori sia sistolici che diastolici della PA. E’ stato notato anche il fatto che dopo una procedura di questo tipo, l’Holter pressorio dimostra il ritorno ad un “dipping pattern” del comportamento pressorio durante la notte.

Sono in corso degli ulteriori studi che porteranno nuove conoscenze da una parte sull’efficacia a lungo termine del metodo e dall’altra sull’effetto della procedura e dell’abbassamento della PA sulle dimensioni e la funzione del ventricolo sinistro e sull’incidenza delle complicanze CV in generale.

per sapere di più: Egan BM, et al. Circulation. 2011;124:1046-1058. http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21824920

 

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