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In 24 ore Infermiere, solo in Emilia-Romagna

di Laura Brunelli

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CESENA. Con la Delibera della Giunta Regionale del 24 febbraio 2014, la Regione Emilia-Romagna stabilisce la possibiltà che molte pratiche assistenziali possano essere eseguite, da parte di personale laico, al domicilio di pazienti affetti da gravi patologie croniche, rare o con necessità assistenziali complesse.

Partendo dal presupposto che questi pazienti, visto l'alto grado di complessità assistenziale, necessitano di interventi spesso rapidi e frequenti per cure periodiche, con la possibilità di dover intervenire in tarda serata per rispettare i corretti tempi di somministrazione dei farmaci, si è ben pensato di affidare la complessità delle cure a personale laico, rappresentato dalla figura dei caregiver o loro assistenti.

 

Secondo la delibera, queste figure sarebbero in grado – previo corso di almeno 24 ore condotto da un medico e un infermiere che prevede alla fine il rilascio di un attestato e una “periodica” rivalutazione delle abilità conseguite – di svolgere diverse pratiche assistenziali quali la bronco aspirazione di secrezioni delle alte e basse vie respiratorie, gestione di cateteri venosi centrali o periferici, gestione di sondini naso-gastrici, prevenzione delle lesioni da pressione e medicazioni complesse.

 

In altri termini, la figura dell'infermiere sarebbe completamente sostituita da queste figure!

 

Ma in una situazione così all'estremo, di ennesimo insulto alla professione infermieristica, possiamo ancora affermare, secondo quanto detto dall'articolo 1 del decreto 739, che “l'infermiere è l'operatore sanitario, che in possesso del diploma universitario abilitante e dell'iscrizione all'albo professionale è responsabile dell'assistenza generale infermieristica”? 

 

Di quale “diploma universitario” (o laurea) stiamo parlando? Secondo la delibera è più che sufficiente un semplice attestato di partecipazione! Basta avere i requisiti psico-fisici idonei per partecipare al corso.

 

Dal Codice deontologico si evince chiaramente che l'assistenza infermieristica intesa come servizio alla persona, alla collettività e alla famiglia, è di diretta responsabilità di un solo operatore sanitario, l'infermiere, il quale  ascolta, informa e coinvolge l'assistito valutando con lui i bisogni assistenziali in modo da rendergli il maggior livello di assistenza possibile (articolo 1,2; art 20).

 

Gli infermieri sanno bene che per garantire un alto livello assistenziale non sono sufficienti tre anni di studi, i quali son solo la base, ma è richiesto un impegno tanto costante fin quanto dura l'attività lavorativa.

 

Non bastano tre anni per essere bravi infermieri come non basta, allo stesso modo, avere un master o un qualsiasi titolo in più. Tanta teoria unita a tanta pratica, tante competenze intellettuali unite a una buona dose di saper fare, rendono valore alla professione!

 

Mi chiedo allora: in un'epoca dove la medicina pone al centro della propria ottica il malato riconoscendo a pochissime figure sanitarie esperte la capacità di erogare una determinata qualità di assistenza e ancora in un'epoca in cui tutti i massimi esperti mondiali sono concordi sulla visione olistica del malato, con quale prepotenza e coraggio si attribuisce ad altri la prerogativa di far “assistenza qualificata”? Su quali basi? Il rispetto della dignità del malato e il suo diritto a ricevere assistenza qualificata dov'è?

 

Mi chiedo e vi chiedo anche: ma se un laico sbaglia a gestire la terapia intramuscolare o una lesione da pressione procurando maggior danno al paziente, di chi è la responsabilità? Sua o dell'infermiere o del medico che ha diretto il corso? 

In ambito libero professionale, la responsabilità è solo mia; in ambito ospedaliero, dell'infermiere che somministra. 

 

In una potenziale situazione in cui un laico segue un malato di SLA a domicilio, tracheostomizzato con modeste secrezioni e in ventilazione assistita, con PEG, LDP, cvp adibito a terapia infusionale, sbagli la manovra di aspirazione delle secrezioni causando una importante infezione polmonare con peggioramento del quadro generale del paziente fino a morte, di chi è la responsabilità? A questa persona è stato mai parlato dell'obbligo di avere una RC professionale?

 

Io sono una infermiera, una infermiera in libera professione e pienamente cosciente che di tutto ciò che dico, faccio e scrivo sono io il diretto responsabile e a me spetta l'onere di garantire il miglior livello di assistenza infermieristica qualificata.

 

Mai al  mondo denigrerò la mia professione, l'impegno della mia vita, ad equiparare tutto ciò che in questi anni ho fatto e che farò, a una misera, insignificante e alquanto presa in giro non solo nei miei confronti, ma soprattutto in quelli degli ammalati che seguo e seguirò, rappresentata dalla delibera della mia regione.

 

Perché nient'altro è che una presa in giro della professione infermieristica e della dignità e al diritto di essere curato da parte di chi ne ha necessità.

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