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editoriale

Eutanasia, perchè nascondere la testa sotto la sabbia

di Pasquale Dente

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NAPOLI. “Non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prenderò mai un' iniziativa del genere”. Queste le testuali parole di Ippocrate, il padre di tutti i  medici, che nel suo giuramento indica che provocare la morte, o aiutare affinchè essa sopravvenga è un atto da rifiutare. La chiesa cattolica dal canto suo, si è sempre schierata contro questa pratica, “non uccidere” cita il 5° comandamento della Bibbia.

Nel terzo millennio il tutto assume un significato diverso, in quanto in alcuni casi la tecnologia, con i suoi macchinari e i grossi passi avanti della medicina, riescono in qualche modo a bloccare la morte. Le condizioni del paziente sono in un limbo in cui ancora oggi non sappiamo ben definire. E' lecito domandarsi se esse allungano la vita o procrastinano la morte.

Negli ultimi anni ci siamo ritrovati ad affrontare i casi di Eluana Englaro e Pier Giorgio Welby nel nostro bel paese, e Terry Schiavo oltreoceano. Ovviamente i casi in questione hanno sfumature diverse, ma il nocciolo della questione era quello di poter interrompere le cure che permettevano loro di poter rimanere in vita, sia legati ad alimentazioni artificiale sia a macchinari che sostituiscono o aiutano a svolgere funzioni vitali.

L’argomento in questione diventa spinoso, un vero ginepraio da cui non è facile uscirne se si lascia  l’incombenza della decisione a terze persone. Ogni individuo, rispetto a questo argomento ha diversi punti di vista. C'è quello dell’infermiere che segue il caso, quello di un padre che deve decidere della vita di un figlio, quello di un marito nei confronti della moglie, quella di un figlia nei confronti del madre, il punto di vista del cattolico, o il punto di vista dell’ateo.

Questa miriade di situazioni perdono di importanza se paragonate con l’unico punto di vista rilevante, quello del paziente stesso, la volontà dell'io nei confronti della morte. Il testamento biologico è un arma fondamentale in cui il paziente può decidere o meno di accettare diverse procedure mediche o somministrazioni varie. Il testamento biologico poco reclamizzato, o ancor peggio, poco usato dovrebbe essere uno strumento molto più in uso in uno stato laico come il nostro.

La morte è un fase della vita che prima o poi ci vedrà protagonisti. Essa a mio avviso non ci deve spaventare, “è ‘na livella”  come diceva Totò,  ci rende tutti uguali. Quello che può spaventarci è il modo con cui essa sopraggiunge, e a cui noi, nel nostro piccolo possiamo dare una direzione.                                                   

La vita è un insieme di scelte. Dalla t-shirt da indossare al mattino al liceo da frequentare, dall’auto da comprare alla data del matrimonio, e tra queste la scelta di lasciare il palcoscenico della vita in modo dignitoso. L’argomento diventa spinoso se non se ne parla, se ci si nasconde dietro credenze o dogmi imposti.

L’eutanasia è argomento delicato, ma nascondere la testa sotto la sabbia ingigantisce la questione.

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