La violenza è uno strumento che condiziona l’agire e il vivere
Satnam Singh , bracciante indiano di 31 anni morto nelle campagne di Latina a causa di un grave incidente che gli ha amputato il braccio mentre lavorava, è l’ennesima vittima della violenza del mercato del lavoro, del caporalato e del profitto, di paghe da fame e di un certo modo di fare imprenditoria che antepone il guadagno alla vita umana.
Quanto scritto è un passaggio che potrebbe accompagnare molti episodi dell’attualità di questi giorni: dalle violenze in famiglia al ripetersi, pressoché quotidianamente, di femminicidi, agli abusi sui minori e alle molestie di vario tipo fra le mura domestiche, fino alle morti e agli infortuni sul lavoro, prodotti del made in Italy dell’economia del profitto.
Espressioni della violenza di questo nostro mondo sono anche le frequenti aggressioni ai danni di sanitari nelle varie strutture del paese, o le crudeltà di ogni tipo (anche mortali) contro chiunque venga ritenuto “sbagliato”, “diverso”, “invertito”, per reddito, orientamento sessuale, colore della pelle o per le sue idee.
Il passaggio di apertura potrebbe commentare altresì il grave fatto occorso qualche giorno fa nell’emiciclo del Parlamento italiano dove si è consumata un’aggressione squadrista che testimonia il portato etico e valoriale dei protagonisti dell’attacco, fuori da ogni vittimizzazione secondaria tirata in ballo per dare la colpa alla stessa vittima del fattaccio.
Le dinamiche ipocrite e vigliacche che cercano di negare, e di mascherare, una violenza strutturale in chi la esercita, sono le stesse che vengono introdotte quando c’è da derubricare uno stupro ai danni di una donna. In questo la vittima verrà fatta oggetto di frasi quali: Ma come era vestita? Che cosa ha detto? Sicuramente Lei lo ha provocato! E però c’è un limite alla pazienza, quando è troppo, è troppo .
La violenza amplifica e legittima sé stessa, monito distopico per i fragili e i deboli di ogni occasione. E la mente torna al pessimo esempio dato dai parlamentari . Se l’aggressione consumatasi in parlamento fosse avvenuta in un qualsiasi luogo pubblico di una città, sicuramente si sarebbero avviati dei procedimenti penali. Se poi gli aggressori fossero stati di religione o colore della pelle o appartenenza di classe “diversamente validi”, la canea forcaiola di certi politici, e di certi media, si sarebbe scatenata.
Magari tornando, legittimamente e “sacrosantamente” (direbbe Cetto), a sventolare in Parlamento pendagli da forca o manifestando in piazza alzando le mani guantate di bianco. È ciò che accadde durante la stagione di mani pulite grazie alle performance della Lega e dell’allora MSI.
E pensare che qualcuno sbraita affermando che i rave party sono dei luoghi di violenza e perversione. Probabilmente non sapeva quali conseguenze possa avere sventolare la bandiera italiana all’interno del Parlamento italiano.
Insomma, qual è l’etica di questa società che veicola comportamenti e ne censura altri? Quando la violenza e il sopruso sono legittimi e quando vanno condannati? Una giornalista, giorni fa, a commento della rassegna stampa della mattina ha detto come fosse sbagliato sottolineare negativamente che, per liberare quattro ostaggi, l’esercito israeliano abbia provocato 210 morti.
Come se i morti si pesassero , ha affermato. Ed in realtà è ciò che avviene da sempre, in maniera totalmente arbitraria, nelle guerre di ogni tempo: dieci italiani per ogni soldato tedesco ucciso, oppure dieci, cento, ed altri cento, ed altri cento ancora morti nei barconi affondati, lungo le linee di confine presidiate, nei quartieri bombardati di una qualsiasi città del mondo e della storia. <è>Insomma, qual è l’etica della violenza alla base della legittimazione dell’uso della forza, della legge del taglione? Chi vale di più di altri e chi meno di un pezzo di terra, di uno sciacallaggio elettorale, o di un obiettivo di profitto da raggiungere?
Non è difficile abituarsi alla violenza, giustificarla e pesarla in tanti pesi e in tante infinite ed inique misure, ma non c’è nulla di moralmente giustificabile. La violenza è uno strumento che condiziona l’agire e il vivere. È portatrice di una forza distruttiva e tossica multiforme.
Nelle ultime ore un’inchiesta de L’Espresso, pubblicata in rete, denuncia il comportamento orrendo e violento da parte di un primario medico nei confronti degli specializzandi inseriti nel suo reparto. Tra vessazioni, insulti, umiliazioni e brutture di vario tipo, spesso veicolate da un linguaggio omofobo, se non peggio, il personaggio in questione, anche candidato sindaco, reitera la più classica delle rappresentazioni che l’esercizio del potere mostra di sé, quella appunto legata alla violenza: fisica, verbale o relazionale, materiale o intellettuale, gerarchica ed autoritaria, e priva di ogni minima autorevolezza.
Rappresentazione ulteriore di questo tempo, di un oggi da cui ci si vorrebbe mettere in salvo. Ma non è così facile, non sempre è possibile, almeno per i più e per quelli come Satnam Singh , bracciante indiano di 31 anni morto nelle campagne di Latina a causa di un grave incidente che gli ha amputato il braccio mentre lavorava.
Invece di portarlo all’ospedale lo hanno abbandonato davanti casa. Satnam è l’ennesima vittima della violenza del mercato del lavoro, del caporalato e del profitto, di paghe da fame e di un certo modo di fare imprenditoria che antepone il guadagno alla vita umana.
Alla fine, sembra chiaro quale tipo di etica sia alla radice della violenza, ad ogni livello e porta a volgere lo sguardo verso un futuro prossimo in cui l’intelligenza artificiale non può essere una preoccupazione superiore a quella verso i pericoli della stupidità e della crudeltà umana .
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